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venerdì 27 ottobre 2017

Femminismo e satira sociale

THE HANDMAID'S TALE


Ho visto il film, ordinato il romanzo, ma qui parlo principalmente della serie tv, i cui dieci episodi mi sono sparata alla velocità della luce. 
Il merito è da ascriversi soprattutto alla trama, potente e meravigliosa, incalzante, irta di femminismo e satira sociale. 
Non rivelo nulla al riguardo, dico solo che siamo in un futuro distopico fra i più agghiaccianti, alienanti e spersonalizzanti. Ne ho riassunto le prime puntate ad alcune amiche, che già così, solo ad ascoltare a me, si sono dette rapite ed ipnotizzate, tanto che non riuscivano a smettere di farmi domande e a voler conoscere particolari.
La storia è dunque molto coinvolgente di suo: non procede linearmente, ma ci mostra in modo progressivo il terrificante presente e come ci siamo arrivati. Non di colpo, ma a forza di atroci avvisaglie, aggiungendo, rispetto alla pellicola cinematografica omonima, parecchi dettagli, sia sui personaggi che sul contorno, specie a livello di politica internazionale, oltre a modificare e aggiornare diversi particolari (ad esempio, la questione razziale viene completamente obliata, anzi, come ormai di consueto, molti protagonisti cambiano persino etnia).
L'unico problema è che, se nel romanzo, scritto nel 1985, e nel film, del 1990, tutto risulta abbastanza coerente, qui è difficile concepire certi sviluppi alla luce di Internet e dei Social Media, specie considerando che il tutto è ambientato in America... 
Inoltre, rispetto al film (non ho ancora letto il romanzo di Margaret Atwood), ci sono alcune licenze che si potevano evitare, ad esempio la faccenda del “doppio parto” è davvero una pagliacciata.
Altro grosso pregio, invece, è Elisabeth Moss, l'interprete principale, alias Difred. In un primo tempo potrebbe farci storcere il naso: è brutta come poche, a tratti sembra una rana, è troppo vecchia per essere credibile come ancella e persino troppo cicciotta. Ma è di un'intensità senza pari e presto si fa perdonare ogni difetto.
Per il resto l'opera è senza dubbio magnetica, soprattutto nelle puntate iniziali (MPM ha patito tantissimo, lamentando di “sentirsi offeso come donna” e che la sua anima si stava spezzando – sic!), curatissima anche a livello di fotografia e scenografia, mentre superbi sono i costumi, su tutti quelli delle ancelle, che, rispetto al film (passato in sordina, ma con un cast notevole, con attori del calibro di Robert Duvall e Faye Dunaway) costituiscono un enorme passo avanti.
Curiosità: nella serie Tv spiccano: Samira Wiley (la mia adorata Poussey di “Orange is the new black”), Yvonne Strahovski (dalla serie televisiva “Chuck”) e Joseph Finnes, invero, piatterello e inespressivo come al suo solito. Ma nel contesto non si nota troppo.

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