IN QUESTO ANGOLO DI MONDO
di Sunao Katabuchi
(2016)
Un cartone animato ambientato nel Giappone della Seconda Guerra Mondiale e, in particolare, relativo al fungo atomico di Hiroshima.
Resta impresso, descrive il male, e tuttavia resta pervicacemente proteso verso la positività.
Purtroppo, però, è irto di “ma”, tanto che MPM ha commentato: “Sovente confonde la prolissità con la poesia”.
Confermo, e in più c'è dell'altro.
Il montaggio è discontinuo e non facilita la comprensione, anzi, spesso la compromette, risultando fastidioso. I sottotitoli sono scritti troppo in piccolo e sono troppo veloci, si fatica a decifrarli. Il disegno presenta pochi dettagli e l'incipit, con la melodia di Adeste Fideles in sottofondo (sic!), è fuori dalla grazia di Dio.
L'azione è lenta, a tratti lumachesca, incentrata sulla grigia quotidianità, e pure la storia procede a strattoni, in modo slegato e poco omogeneo.
Ma...
Non ti addormenti, partecipi, stai attento; la pellicola ha dei bei colori, specie le tinte pastello, e soprattutto trasmette forza, quieto coraggio, e, nel complesso, l'opera è più leggera di quanto si potrebbe pensare.
Capita di tutto (ma ogni volta potrebbe andare peggio) eppure si trova rifugio nell'immaginazione, conforto nel proprio talento, e anche quando quest'ultimo le viene tragicamente strappato via, la protagonista non si dà per vinta.
Insomma, anche se lì per lì ti viene in mente “Una Tomba per le Lucciole”, qui non ti tagli le vene, non ti arrendi, combatti, e continui a trovare qualcosa di buono in tutto, persino quando ti brucia la casa, giacché ti rallegri che, nello sfacelo, le patate si siano lessate a puntino.
Nel frattempo tu spettatore ti concentri sulla bomba di Hiroshima, patisci lo scandire del tempo, paventando l'inevitabile e avvertendo l'incedere ballerino del fato. Ma la tragedia è sempre dietro l'angolo e può deflagrare in ogni momento, facendo più danni di quelli cui ormai credevi di essere scampato.
E infine, da tutto il male, il dolore, la perdita, riesci sempre a trarre qualcosa di buono.
Complimenti.
All'autore, ma anche allo spirito dei Giapponesi, che, in effetti, non si sono arresi.
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