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martedì 3 aprile 2018

Solo come un verme

STUDIARE QUANDO IL RAGNO ERA PICCOLO...


Mi fa specie che il cucciolo, ormai, sia così grande e, se tutto va bene, destinato a laurearsi in autunno. Giacché sono una creatura nostalgica, ciò mi porta a  rimembrare quando io studiavo ed ero prossima a laurearmi...
Con la differenza che non potevo farlo serenamente, perché ogni due per tre il Ragno veniva ad angosciare. Anche se, lo ammetto, era davvero amoroso.
“Giochi con me?”, esordiva, fissandoti speranzoso, con quegli occhioni enormi. 
E io, sbrigativa: “Tesoro, non posso, devo studiare.” Al che il piccolo mi rassicurava: “Ma non adesso, quando fai la pausa”. 
“Tesoro, va bene, ma la prossima è tra cinque ore... Ho appena iniziato.” 
E lui: “Non importa, aspetto.”
“Guarda che sono tante cinque ore...”
“Non ti preoccupare, aspetto.”
E si piazzava su una sedia, appena fuori da camera mia, a patto che tenessi la porta aperta, composto e attento, senza fiatare.
Almeno per 30 secondi. 
Poi chiedeva, con gli occhioni che parevano ancora pià grandi: “Hai finito?”
E io, disperata: “No. Manca tantissimo. Ti conviene cercare qualcun altro...”
Ma lui, cocciuto: “Non importa. Aspetto.”
Dopo altri 20 secondi: “Ma quanto sono cinque ore?”
“Più di sei puntate dei Teletubbies. Vai a giocare...”
“Sto qui...”
“Mi distrai!”
“Non dico niente!”
“Non sei capace.”
“E' perché sono un bambino!”
“Ti prego, devo studiare... Per piacere!” 
“Ti prego, voglio solo stare con te. Se no solo solo come un verme.”
“Perchè come un verme?”
“Perché i vermi sono sempre soli!!!”
Gesù!
Al che dovevo per forza interrompermi. Poi i miei compagni si stupivano se per ogni esame mi riducevo a cominciare la settimana prima, iniziando alle 4 del mattino, terrorizzata all'idea di venir bocciata e immediatamente coperta di brufoli per lo stress. 
Se invece l'esigenza era leggere, il piccolo diventava molesto, perché dal suo punto di vista leggere non era importante, era uno svago, quindi io ero obbligata a privilegiare lui. Arrivava al punto di controllarmi i libri. Parlava a stento, non conosceva neppure l'alfabeto, ma non era stupido: verificava se erano sottolineati o meno. Nel primo caso (a volte) si ritirava in buon ordine, convinto che stessi davvero applicandomi in qualche noiosa materia. Diversamente pretendeva che smettessi all'istante.
Il risultato è che la maggior parte dei libri che leggevo all'Università è colorata con gli evidenziatori.
In ultimo, c'erano delle volte che, impossibilitata a cacciarlo, gli ripetevo la lezione. Lui, poverino, si concentrava e si disponeva all'ascolto, ma dopo che io avevo finito di dissertare sulla differenza tra Aberratio Ictus e Aberratio Delicti, mi guardava sconsolato: “Sei stata brava”, gemeva, “Ma io non capisco. Però, se vuoi, me la puoi dire ancora una volta.”
Snif, era davvero tenero.
Lo ammetto, nonostante tutto, a volte mi spiace proprio che sia cresciuto.

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