ANTEPRIMA:
IL SOGNO DI ECATE...
...che
esce domani su Amazon (incrociando le dita), ma di cui, intanto,
fornisco un assaggino: l'inizio della prima parte.
Ehm...
dato che sono generosa e non voglio far alzare di nuovo il MPM per
prendermi la chiavetta di Darth Vader (quella con i romanzilli e
affini), mi accontento di proporre la prima versione, che ho sul
portatile... Non mi sembra che la definitiva differisca molto.
Et
voilà:
Katy
giocava
nel cortile condominiale insieme alla sorellina.
Le
bambine avevano rispettivamente sette e cinque anni ed erano intente
ad accessoriare le Barbie
per l’imminente gala
di beneficenza. Era l’evento mondano della stagione e sarebbero
intervenuti, fra gli altri, quattro Ken,
Mr. Orso, e le Principesse Disney al completo.
Di
certo non si aspettavano che una testa mozzata precipitasse
dall’alto. Non un giocattolo, una vera.
Ruzzolò
nell'erba.
Prima,
però, ci fu un tonfo sordo alle loro spalle, che le fece trasalire.
Le piccole si voltarono di scatto e incrociarono lo sguardo attonito
di un uomo senza corpo, che pareva congelato.
«È
brutto»,
disse Julie, la minore, storcendo il naso.
«E
freddo...»,
aggiunse Katy, sfiorandogli la fronte.
«Che
ne facciamo?»,
chiese Julie. «Dobbiamo
consegnarlo alla zia?»
La
bimba alludeva alla prozia Leandra, che le accudiva mentre papà e
mamma erano al lavoro. Era un’anziana vedova dai modi un po’
affettati e dalle pretese leggermente snob, che non andava troppo
d’accordo con le nipotine. Non perché fosse una donna cattiva, ma
perché, non avendo avuto figli, non era abituata ai meccanismi
mentali dei ragazzini e non sapeva come rapportarsi a loro. Non aveva
inventiva, né troppa pazienza, in più, secondo la definizione di
Katy, era terribilmente noiosa e limitata.
Fortunatamente
trascorreva la maggior parte del tempo a chiacchierare o a prendere
il the
con la signora del terzo piano, vecchia pure lei.
«No»,
decise Katy. «È
nostra. La zia ce la porterebbe via di sicuro.»
«Non
ti sembra abbia un’aria conosciuta?»,
interloquì Julie, scrutandola con attenzione.
«Sì…
Però non ricordo chi è…»
«È
brutto»,
ribadì Julie.
«Ma
no… Sai come si dice: è un tipo!»
«Anziano...»
«L’importante
è che non sia il nonno di qualcuno»,
tagliò corto Katy.
«Ma
che ne facciamo?»,
insisté la sorellina, che ancora non osava toccarlo. Aveva le labbra
semi aperte e il particolare non le piaceva.
«Possiamo
truccarlo, pettinarlo, agghindarlo… O usarlo come “Mago di Oz”
in una rappresentazione teatrale con le bambole... Prima, però,
dobbiamo dargli una pulita.»
«È
morto?»,
domandò Julie. «Come
Billy?»
Billy
era il loro canarino. Una mattina lo avevano trovato stecchito in
fondo alla gabbia, incapace di muoversi, di cantare, di respirare.
Julie aveva pianto, ma si era rasserenata quando avevano celebrato un
piccolo rito funebre per lui. Anche Katy era addolorata, ma avrebbe
preferito continuare ad osservarlo e carpire i segreti della sua
dipartita. L'affascinavano i decessi.
«Sì.
Senza cuore non si vive»,
spiegò Katy. Afferrò la testa con due mani e la sollevò, decisa a
condurla in bagno e a spruzzarla con un po’ d’acqua. L’igiene
era importante. Però non si aspettava che fosse così difficile da
perseguire: la testa era pesante e rischiò di farla cadere.
Era
davvero gelida, come se fosse appena uscita dal freezer, e la bambina
dovette usare degli abiti da sera di Barbie
per proteggersi le dita. Probabilmente era stata davvero conservata
sottozero: la pelle aveva sfumature bluastre, non emanava odore, non
perdeva sangue, e c’era del ghiaccio attaccato ai capelli.
«Come
la chiamiamo?»,
chiese Julie.
Baci,
e a domani!
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