REGRESSION
di Alejandro Amenàbar
(2015)
Immensa
delusione.
Per
la fine, non per altro.
Per
tre quarti il film è costruito bene, suggestivo, affascinante, non
paurosissimo, magari, ma con alcune scene che, se pure di per sé non
mostrano niente, ti si arrampicano comunque su per la schiena (quel
sorriso, ad esempio... il sorriso di una degli incappucciati: puro
cinebrivido).
L'argomento
sono le sette sataniche che negli anni '90 trovano sempre maggior
diffusione negli Stati Uniti, con il conseguente allarme sociale...
In particolare, qui abbiamo una ragazzina, Angela (Emma Watson), che
accusa il padre di aver abusato di lei... Il genitore, interrogato,
dice di non ricordare nulla, ma che, dato che sua figlia non dice
bugie, deve essere vero. A questo punto lo psicologo che coadiuva il
detective preposto alle indagini (Ethan Hawke) ricorre alla tecnica
della “regressione”, inducendolo a rivivere quanto avvenuto. Ne
emerge una realtà assai più fosca e stratificata che coinvolge
diverse persone, molte conosciute nella comunità, e oscuri,
terribili riti, con tanto di sacrifici umani...
A
poco a poco l'orrore sale ed è più introspettivo che materiale, ha
il gusto del sogno, della paranoia, ma per questo più insidioso,
anche perché hai l'impressione che quanto emerge sia solo la punta
dell'iceberg.
E
invece no, invece è ghiaccio sciolto, e quando te ne rendi conto –
fatti realmente accaduti o no – lo vivi come un tradimento.
L'impianto si sfalda, diventa farsa, gli stessi personaggi assumono
contorni grotteschi.
Anche
perché l'idea, il presunto sovvertimento finale, risulta poco
credibile, raffazzonato, e per giunta non è neppure originale.
Anzi...
Peccato,
peccato davvero.
Specie
considerato che l'epilogo (diciamo gli ultimi venti minuti, che forse
sono trenta) è così sleale da travolgere tutto a ritroso, e se pure
per la prima ora e passa eri soddisfatto e carico di aspettative, al
“the end” non puoi che sbuffare ancora più forte.
Uff!
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