LA
NAUSEA
di Jean-Paul Sartre
Ci
sono romanzi così. Romanzi con cui devi essere sintonizzato, per
cui, se il tuo umore contrasta con l'opera, di leggerlo proprio non
c'è verso, a dispetto della bellezza della prosa.
Ecco
perché ho impiegato otto mesi per arrivare a pagina 60 –
guadagnandomi con fatica ogni riga – e un pomeriggio per le
restanti 180 circa, pascendomi di ogni sillaba...
In
realtà la mia venerata (da me) Prof. Di Lettere del Liceo, pur
amando Sartre (e in particolare “Il muro” – che io ho adorato –
e “Le mani sporche” – ancora da comprare –) aveva diffidato
noi alunni dall'accostarci a questo volume: lo riteneva pretenzioso,
sopravvalutato e sterile. Nauseante, persino.
Insomma,
mi aveva incuriosita e me lo ero annotato... Quando, a distanza di
eoni, mi è capitato tra le mani in libreria ho dovuto acquistarlo,
in preda ad un febbrile spirito di contraddizione.
Trattasi
del diario di tale Antoine Roquentin, sopraffatto dalla nausea
esistenziale verso il mondo intero. Dunque andiamo avanti, senza filo
conduttore, tra discorsi semi-accademici e descrizioni di stati
d'animo, paesaggi, umanità varia, congetture e riflessioni sulle
vicende più disparate...
C'è
questo suo amore perduto, labile e quasi a senso unico, per questa
donna difficile, ma peculiare (e vagamente crudele), Anny, e poi un
libro inutile che Roquentin starebbe scrivendo e che, naturalmente,
non ha senso scrivere...
C'è
il peso del mondo che ti schiaccia, con la sua vanità e assurdità,
e la disillusione verso qualsiasi cosa: la politica, le persone, la
cultura...
Jean-Paul Sartre immaginato dal nostro caricaturista
A
dare fastidio alla mia Prof., credo, fosse il compiacimento insistito
relativo a questo sentimento, che non è autentica afflizione, quanto
piuttosto artificiosa strumentalizzazione. Del resto, il sentire
della mia insegnate è sempre stato così puro e appassionato che
capisco faticasse a tollerarlo.
Io
sono meno spirituale, meno critica, e il romanzo, alla fin fine, mi è
piaciuto. E' una fantastica colonna sonora per la depressione, perché
la eleva a dimensione cosmica, fa di te un titano eroico e
consapevole, permettendoti una sorta di malata esaltazione, mentre
sguazzi nel tuo stesso malessere.
Consolatorio,
quindi.
E,
se vogliamo, sublime alternativa al suicidio.
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