EVERYMAN
di Philip Roth
Il
mio commento può essere solo uno: Cristo!
Mi
spiace, non voglio essere blasfema... So che il padre di Indy mi
mollerebbe un ceffone, ma, diamine, qui ci sta: Cristo!
No,
davvero. Di fronte a certe cose non rimane molto altro da commentare.
Il
romanzo è brevissimo e sostanzialmente racconta la vita di un uomo
(che è lui, ma può essere chiunque) newyorkese sciupafemmine e
padre di tre figli (di madri diverse) - di cui due lo odiano -
pubblicitario di successo, ex di tre mogli tra le più variegate
(Merete, la terza, modella sessualmente ardita e fondamentalmente
inetta, è la mia preferita... anche se, ovviamente, non è quella
che auguro a nessuno di sposare) simpatico e indulgente con se
stesso, e ben lontano dall'aver battuto il sentiero della virtù...
Che finalmente se n'è reso conto...
Ancora
più sostanzialmente il romanzo parla della Morte che ci accompagna
per tutta l'esistenza, sin dalla nascita, attraverso un lento
percorso di erosione fisica e spirituale, e che, durante la
vecchiaia, comincia a consumarci ben prima che giunga la nostra
ora...
La
vita, infatti, è sostanzialmente un lento e logorante viaggio verso
la sua fine, fatto di impotenza e rassegnata accettazione... e di
cure ospedaliere!
Cristo,
eh?
Ma
non è una lettura drammatica... Non proprio. Non solo.
C'è
molta (amara) ironia, invece, e talvolta si ammicca. O ci si
intenerisce. O ci si eleva oltre la materia effimera di cui siamo
fatti.
E
quindi, alla fine, davvero della morte, si parla... o della vita?
Della
vita.
Pazienza
se non ha senso.
Perché
qui, come nella poesia, una verità che si nega razionalmente,
cantando, viene resa eterna.
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