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mercoledì 2 marzo 2016

L'ultimo viaggio

EVERYMAN
di Philip Roth


Il mio commento può essere solo uno: Cristo!
Mi spiace, non voglio essere blasfema... So che il padre di Indy mi mollerebbe un ceffone, ma, diamine, qui ci sta: Cristo!
No, davvero. Di fronte a certe cose non rimane molto altro da commentare.
Il romanzo è brevissimo e sostanzialmente racconta la vita di un uomo (che è lui, ma può essere chiunque) newyorkese sciupafemmine e padre di tre figli (di madri diverse) - di cui due lo odiano - pubblicitario di successo, ex di tre mogli tra le più variegate (Merete, la terza, modella sessualmente ardita e fondamentalmente inetta, è la mia preferita... anche se, ovviamente, non è quella che auguro a nessuno di sposare) simpatico e indulgente con se stesso, e ben lontano dall'aver battuto il sentiero della virtù... Che finalmente se n'è reso conto...
Ancora più sostanzialmente il romanzo parla della Morte che ci accompagna per tutta l'esistenza, sin dalla nascita, attraverso un lento percorso di erosione fisica e spirituale, e che, durante la vecchiaia, comincia a consumarci ben prima che giunga la nostra ora...
La vita, infatti, è sostanzialmente un lento e logorante viaggio verso la sua fine, fatto di impotenza e rassegnata accettazione... e di cure ospedaliere!
Cristo, eh?
Ma non è una lettura drammatica... Non proprio. Non solo.
C'è molta (amara) ironia, invece, e talvolta si ammicca. O ci si intenerisce. O ci si eleva oltre la materia effimera di cui siamo fatti.
E quindi, alla fine, davvero della morte, si parla... o della vita?
Della vita.
Pazienza se non ha senso.

Perché qui, come nella poesia, una verità che si nega razionalmente, cantando, viene resa eterna.

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