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mercoledì 30 marzo 2016

Magnetismo disperato e dolente

IERI
di Agota Kristof


La storia è un po' inconsistente, un po' vaga, e, se pure lo intrattiene e fa restare col fiato sospeso, non porta il lettore a sanguinare, come invece la Kristof riesce a fare in altre sue opere, e, in particolare, ne la “Trilogia della città di K.” (con cui “Ieri” spartisce numerose similitudini, anche a livello di trama).
Il racconto stupisce, ipnotizza, se ci si riesce a sintonizzare, ha persino i suoi momenti di lirica, asciutta, bellezza, ma manca il coinvolgimento emotivo. Il brivido c'è, è denso, brulicante, ma resta sulla superficie, ci incuriosisce, ma non avvince. E poi, una volta superata l'ultima pagina, non ci lascia granché, nemmeno una cicatrice.
Tuttavia si legge volentieri: il libro è breve, incisivo, e pare quasi un compendio de “Il grande quaderno” e dei suoi seguiti, sebbene non sia ugualmente potente e vibrante.
Senza dubbio si tratta di ottima prosa, di cui gustiamo ogni frase, ogni suggestione, ma che non ci illumina, se non a sprazzi, né abbruttisce, come una poesia in cui non sia stato rubato del fuoco, ma solo una fiamma di luce.
Eppure, dopo un po', abbiamo bisogno di tornare a qualcosa del genere, ad un'altra doccia fredda, fatta di lucidità e alienazione, ad un'altra opera della Kristof...
Perché, anche quando è in tono minore, ci piace il magnetismo disperato e dolente che promana, l'ineluttabilità che ci induce a respirare e che offre solo soluzioni estreme, che spesso non sono soluzioni ma la morte stessa della speranza.

Il suo incedere è disturbante, malsano, ma ci irretisce... E alla fine, se siamo abbastanza disturbati e malsani anche noi, ne vogliamo ancora. Ancora. Ancora.

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