IL
GIOCO DI GERALD
di Stephen King
Quando
era uscito era stato un po’ un evento, rimarcando il fatto che King
si sarebbe sradicato dall’horror a favore di un thriller dai
connotati sociali, relativi ad un trauma infantile legato ad abusi
sessuali…
Questo
elemento, tra l’altro, unitamente all’eclissi totale di sole del
1963, lo accumuna al successivo romanzo di King, “Dolores
Claiborne”, in cui, oltretutto, ci sono riferimenti espliciti a
questo romanzo e alla sua protagonista, Jessie Mahout.
E
poi c’era quella faccenda del gioco di Gerald, appunto, suo marito,
a incuriosire e che, decenni prima di “Cinquanta sfumature di
grigio” (di cui nulla so, salvo che è da evitare) aveva scatenato
la pruderie delle brave casalinghe disperate…
L’intrattenimento
ludico, infatti, ha peculiarità erotiche e consiste nell’ammanettare
la moglie seminuda al letto… Peccato che ad un certo punto Jessie
si ribelli e uccida Gerald, benché non intenzionalmente…
Risultato? Si troverà immobilizzata a letto, con la porta di casa
(delle vacanze) aperta, in un logo isolato, semisvestita e sola con i
suoi pensieri… che inizieranno a galoppare, rimembrando lacerti di
infanzia rimossi… Intanto, in zona, si aggirano un cane randagio e
un necrofilo assassino e cannibale…
Indubbiamente
la trama è interessante, e King è magistrale nel rendere la
psicologia della protagonista, laddove, d’altro canto, la capacità
di esplorare analiticamente l’interiorità dei personaggi è da
sempre uno dei suoi maggiori pregi. Sembra che i pensieri e le
paturnie di Jessie prendano letteralmente corpo, e lungi da stagnare,
creano continui brividi tensione. Cui si aggiunge qualche sfiorata
incursione horrorosa a cui comunque è difficile che il Maestro
rinunci davvero del tutto…
Il
romanzo, dunque, è degno di attenzione, tuttavia, per quanto mi
riguarda, non è uno dei migliori di King. Per quanto non sia mai
noioso – e, a dispetto della situazione, nemmeno statico – la
protagonista non mi suscita abbastanza empatia per partecipare
emotivamente dei suoi guai, che nel complesso – passato, sogno o
presente che sia – risultano troppo lunghi e vagamente dispersivi.
Dolores
Claiborne, in effetti, è un’opera assai più riuscita, ma “Il
gioco di Gerald” è da leggere lo stesso: perché è del Re, per
cogliere i riferimenti, e perché, come sempre, è scritta
divinamente.
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