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mercoledì 1 giugno 2016

Un’affinità preziosa e ammiccante

IL GIARDINO SEGRETO
di Banana Yoshimoto


Terzo romanzo della tetralogia “Il Regno”, si mantiene sui livelli dei precedenti, nel bene e nel male.
E quindi: è arioso e piacevole, nonostante, come di consueto, affronti altresì temi dolorosi (Shizukuishi e Shin’chiro si lasciano, e proprio quando erano in procinto di andare a vivere insieme), fluido, genuino e garbato, con un nonsoché di incantevole e incontaminato a infondergli luminosità. Ma inconsistente e tremendamente simile a tutte le altre opere della Yoshimoto che, per quanto incentrate su argomenti e problematiche diverse, finiscono per sembrare fatte con lo stampino... Forse a causa dell’importanza che viene sempre conferita alla quotidianità, e alle protagoniste che tendono ad assomigliarsi l’una con l’altra e il cui flusso di coscienza, di conseguenza, potrebbe, mutatis mutandis, essere lo stesso, in continuum…
Ci sono, tuttavia, degli elementi che mi hanno colpito particolarmente e che qui segnalo: intanto la meravigliosa e vivida descrizione del giardino di Takahashi, che va ben oltre la mera rappresentazione fisica, riuscendo a comunicare sensazioni spirituali, panteistiche e trascendenti, che da sole valgono l’intera tetralogia..
E poi ci sono le misteriose ossa umane sepolte dalla nonna, di cui nulla sappiamo (e di cui, presumo, ci verrà rivelato il segreto nel prossimo tomo); i personaggi di Kataoka e Kaede – carini entrambi, benché non fenomenali, e di cui conosciamo qualche altra sfumatura caratteriale –, e una citazione inaspettata da “Fiori per Algernon”, che, per quanto sia un classico della fantascienza, non viene menzionato spesso, meno che mai, per quella che è la mia esperienza, in romanzi non-americani… Insomma, mi ha fatto l’effetto di un’affinità preziosa e ammiccante, che non sospettavo.
In ultimo, molto profonda è l’autoanalisi di Shizukuichi quando comprende di aver perso l’amore di Shin’chiro – ed anzi, forse di non averlo mai avuto davvero – perché suona autentica, spontanea, difficile, ma non esasperante e melodrammatica.

So che leggerò volentieri anche il seguito… E se all’inizio mi chiedevo quale fosse la necessità di suddividere in quattro parti un’opera così breve, ora capisco che fra i romanzi c’è necessariamente bisogno di spazio e di tempo, altrimenti sarebbe come bere una tazza di the bollente d’un fiato, laddove, per valorizzare la bevanda (e non scottarsi) è invece necessario sorseggiarla.

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