IL
GIARDINO SEGRETO
di Banana Yoshimoto
Terzo
romanzo della tetralogia “Il Regno”, si mantiene sui livelli dei
precedenti, nel bene e nel male.
E
quindi: è arioso e piacevole, nonostante, come di consueto, affronti
altresì temi dolorosi (Shizukuishi e Shin’chiro si lasciano, e
proprio quando erano in procinto di andare a vivere insieme), fluido,
genuino e garbato, con un nonsoché di incantevole e incontaminato a
infondergli luminosità. Ma inconsistente e tremendamente simile a
tutte le altre opere della Yoshimoto che, per quanto incentrate su
argomenti e problematiche diverse, finiscono per sembrare fatte con
lo stampino... Forse a causa dell’importanza che viene sempre
conferita alla quotidianità, e alle protagoniste che tendono ad
assomigliarsi l’una con l’altra e il cui flusso di coscienza, di
conseguenza, potrebbe, mutatis mutandis, essere lo stesso, in
continuum…
Ci
sono, tuttavia, degli elementi che mi hanno colpito particolarmente e
che qui segnalo: intanto la meravigliosa e vivida descrizione del
giardino di Takahashi, che va ben oltre la mera rappresentazione
fisica, riuscendo a comunicare sensazioni spirituali, panteistiche e
trascendenti, che da sole valgono l’intera tetralogia..
E
poi ci sono le misteriose ossa umane sepolte dalla nonna, di cui
nulla sappiamo (e di cui, presumo, ci verrà rivelato il segreto nel
prossimo tomo); i personaggi di Kataoka e Kaede – carini entrambi,
benché non fenomenali, e di cui conosciamo qualche altra sfumatura
caratteriale –, e una citazione inaspettata da “Fiori per
Algernon”, che, per quanto sia un classico della fantascienza, non
viene menzionato spesso, meno che mai, per quella che è la mia
esperienza, in romanzi non-americani… Insomma, mi ha fatto
l’effetto di un’affinità preziosa e ammiccante, che non
sospettavo.
In
ultimo, molto profonda è l’autoanalisi di Shizukuichi quando
comprende di aver perso l’amore di Shin’chiro – ed anzi, forse
di non averlo mai avuto davvero – perché suona autentica,
spontanea, difficile, ma non esasperante e melodrammatica.
So
che leggerò volentieri anche il seguito… E se all’inizio mi
chiedevo quale fosse la necessità di suddividere in quattro parti
un’opera così breve, ora capisco che fra i romanzi c’è
necessariamente bisogno di spazio e di tempo, altrimenti sarebbe come
bere una tazza di the bollente d’un fiato, laddove, per valorizzare
la bevanda (e non scottarsi) è invece necessario sorseggiarla.
Nessun commento:
Posta un commento