CAOS
CALMO
di Sandro Veronesi
Questo
è un romanzo che mi ha divisa, precipitandomi nella perplessità.
Ragiono
“a voce alta”:
Da
un lato ci sono quasi esclusivamente (e volutamente) personaggi
volgari, piatti e squallidi, a cominciare dal protagonista. Fatui
egocentrici che vivono con superficialità, facendo più attenzione a
dare un prezzo alle loro cose che alle persone che stanno loro
intorno.
Dall'altro
ci sono eventi dal profondo impatto emotivo: due donne che stanno
affogando, un lutto grave, l'apparente mancanza di reazione allo
stesso, l'incapacità di soffrirne (e siamo ancora all'inizio)...
A
tutto ciò viene affiancato un fatto stranoioso: la fusione di due
grandissime aziende, che però, in parallelo, porta con sé altri
enormi strascichi umani...
Per
ogni input, se proprio non si è anestetizzati, è facile che scatti
il meccanismo della solidarietà, a prescindere da chi e come vi è
coinvolto, per il solo fatto che sono cose che, ahimè, sono brutte e
possono succedere... Eppure l'autore non ci chiede empatia, anzi,
sembra far il possibile per respingerla, per provocare il nostro
sdegno, riprovazione, per indurci a sbuffare e farci sentire
estranei...
E
ugualmente la sofferenza dei personaggi, manifesta o no, è
convenzionale, stereotipata... E anche questo pare un effetto
ricercato.
E
poi...
Da
un lato lo stile mi piace: la scrittura è squisita contezza, ogni
azione rappresentata con acribia, sottolineandone ogni sfacettatura,
emozione, implicazione, quasi sfociando in un'analisi dettagliata al
puntiglio, quanto congestionata e incalzante, tale da trasformare il
pensiero in movimento...
Dall'altro
lato la trovo stancante: mi soffoca, mi sopraffà, quasi mi vomitasse
tutto addosso, di continuo, e io finissi col non riuscire a
respirare, a dovermi imporre delle pause per scrollarmi il libro di
dosso...
E
tuttavia, quanto ho impiegato a leggere queste 451 pagine (pause
incluse)?
Meno
di quarantotto ore.
E
qual è il titolo dell'opera (spiegato più volte all'interno della
stessa)? Caos calmo. Già.
Non
è che allora l'effetto è voluto?
E
perché?
E'
un altro modo di rimanere fedeli a se stessi, contrapponendosi a un
copione scritto da altri in nome della normalità, e quindi di
contrastare una realtà troppo banale per essere autentica e che
ormai non fa più parte di noi, o una precisa volontà di denuncia?
Non
lo so. Ma l'ermeneutica è la stessa che va applicata alla
“ribellione” posta in essere dal protagonista, Pietro Paladini,
che non piange, non strepita, nonostante il decesso della quasi
moglie, e si pianta piuttosto dinanzi alla scuola della figlioletta
decenne per starle vicino. E che fa sì che, alla lunga, lei venga
derisa dai compagni.
Dunque?
Il
punto più alto dell'opera è nell'ultima frase, e lì probabilmente
si cela il paradigma...
Ma...
Non
ho ancora capito se il romanzo mi è piaciuto o no.
Questo
perché non ho ancora capito il romanzo, deve sedimentarsi ancora un
po' nella mia mente...
Ecco,
proprio per questo, ritengo debba essere letto.
Perché
le opere non univoche, belle o brutte che siano, sono sempre le più
interessanti.
E
questo, alla fin fine, vale probabilmente di più.
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