A
SANGUE FREDDO
di Truman Capote
Agghiacciante.
Da
dentro, integralmente, come poche opere sanno esserlo.
E
questo non tanto per l'argomento, che pure è l'omicidio plurimo, e
apparentemente ingiustificato, di una bella famiglia, quanto
piuttosto per l'oggettività con cui viene narrato. A sangue freddo,
appunto. In modo distante, scrupoloso, ma imparziale, spoglio,
distaccato.
E
ti aspetti il colpo di scena.
O
una spiegazione che non può esserci.
O
una morale.
Ma
non c'è nulla, solo i fatti, e la realtà.
E
questa fa male, all'inverosimile, e disorienta.
Più
della fantasia.
Già,
perché è un fatto reale, questo.
Un
fatto di cronaca del 1959, un romanzo senza immaginazione, dunque,
che è, semmai, un reportage, che indaga e scava, intervista,
confronta dati. Ma non cede a speculazioni o a voli pindarici.
Il
primo Non-Fiction della letteratura.
Ed
è questo il punto. Fa emergere, forte e prepotente e inutile, la
banalità grigia del male in tutta la sua assurda inanità.
Annichilendoti.
Il
nudo resoconto, quando è perfetto, è più doloroso e crudo della
drammatizzazione, in quanto, a livello narrativo, non offre
consolazione alcuna.
Perché
leggerlo, allora?
Perché,
ehy, è scritto da Truman Capote.
E
quindi è asciutto, scorrevole, esatto. Ma colmo di struggente
bellezza e di intrinseca moralità, a dispetto di tutto.
La
quadratura del cerchio.
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