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giovedì 23 marzo 2017

Gli oneri della Corona

THE CROWN


Da molti considerata la più bella Serie Tv del 2016, a me è parsa ben fatta, ma, per quanto opportunamente romanzata, un po' lentina e complessivamente sopravvalutata... 
Molto affascinante, peraltro, sul piano concettuale per la dicotomia di cui è intrisa: il nocciolo, infatti, sta nel dovere e nella difficoltà di sacrificare l'individualità all'istituzione. Elisabetta, insomma, che pure è moglie, madre, sorella, deve rinunciare a se stessa per essere Regina, facendo scelte che spesso non condivide e che portano a baruffe familiari.
La Corona, infatti, è quella dell'attuale Sovrana di Inghilterra (Claire Foy), che conosciamo prima dell'ascesa al Trono e poi durante il Regno, fermandoci, col finire della prima stagione, al 1956.
A dire il vero, la prima cosa che ho pensato è come sia possibile che questa serie si riferisca a personaggi ancora viventi o ai loro familiari giacché ne escono tutti malissimo, reali e non: Winston Churchill (l'ottimo John Lithgow), pronto a strumentalizzare qualsiasi evento a fini politici; la Famiglia Reale, impettita, rigida, superficiale, permalosa e vanesia, con la tendenza a covare livore... Ma poi ho capito.  Che i personaggi sono persone, con pregi e difetti, e come tali umani.
Che la Corona comporta oneri e sacrifici.
Che la liturgia non è solo esteriorità.
In quanto al resto, la Serie offre una buona ricostruzione storica che la drammatizzazione salva dalla sterilità del mero biografismo. Elisabetta, per quanto paia anonima e compassata, è invece dotata di una personalità stimolante, autonoma, e di una forte capacità di volizione. Si avverte la sacralità della Corona, si colgono le ragioni dell'etichetta, con il già menzionato carico di crisi familiari e scandali. 
Si comprende che talvolta è necessario scindere la Regina dalla donna, benché siano la stessa persona, e che, a seconda del ruolo che prevale, Elisabetta è costretta a fare richieste diverse, a reagire in modo differente o persino a mostrare un atteggiamento piuttosto che un altro. 
E alla fine si diventa più indulgenti e solidali, ringraziando di essere nati persone comuni.

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