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giovedì 25 settembre 2014

Così devastante, così spaventoso


IL PROCESSO
di Franz Kafka
 
 
Romanzo claustrofobico per eccellenza, teoricamente incompiuto, eppur dotato di inizio e fine, breve, incisivo, alienante e angoscioso, ben costruito, privo di punti di riferimento, di riscatto, di spiragli di luce... Ma incredibilmente bello!

Si narra la surreale vicenda di Josef K., arrestato e appunto processato per ragioni che ci restano ignote, e che soprattutto sono ignote a lui, il protagonista, ledendo i più elementari diritti di difesa, per tacere del principio del contraddittorio... E' impossibile, assurdo, illogico... Eppure, nell'inquietante ricostruzione di Kafka, tutto ciò è pressoché normale ed accettabile...

Dunque? Come si fa a giudicare bello qualcosa di così devastante, di così spaventoso, specie a livello psichico?

Perché lo è! Per come è scritto, impostato, raccontato! Per le tematiche sottese, per il suo significare...

Perché non è facile creare certe sensazioni di disagio e spersonalizzazione, coinvolgere e invischiare il lettore in vicende così irreali, allo stesso tempo facendogli sentire “il sapore dell'incubo” (come direbbe Borges) al contempo rendendolo plausibile... per cui, pur sapendo che è sogno (o finzione narrativa), non riusciamo proprio a svegliarci!

Eppure “Il Processo” non è solo questo: è una metafora, della Giustizia divina, secondo alcuni, imperscrutabile e ineffabile, un'esperienza dello spirito sull'ambiguità della natura umana, secondo altri...

Ma io non sono una critica (e le mie reminiscenze scolastiche vanno sbiadendo), sono solo una lettrice, e da lettrice affermo che lo stile è semplice, scabro, ma capace di una profonda bellezza, che ti tocca il cuore e il cervello, e ancor più lo spirito, e anche se non si coglie tutto alla prima lettura, si comprende comunque di essere al cospetto di qualcosa di più di un semplice romanzo, e si avverte la necessità di indagare, di approfondire... per poi ripercorrere la trama con maggior consapevolezza.

Eccezionale.

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