IL
PROCESSO
di Franz Kafka
Romanzo
claustrofobico per eccellenza, teoricamente incompiuto, eppur dotato
di inizio e fine, breve, incisivo, alienante e angoscioso, ben
costruito, privo di punti di riferimento, di riscatto, di spiragli di
luce... Ma incredibilmente bello!
Si
narra la surreale vicenda di Josef K., arrestato e appunto processato
per ragioni che ci restano ignote, e che soprattutto sono ignote a
lui, il protagonista, ledendo i più elementari diritti di difesa,
per tacere del principio del contraddittorio... E' impossibile,
assurdo, illogico... Eppure, nell'inquietante ricostruzione di Kafka,
tutto ciò è pressoché normale ed accettabile...
Dunque?
Come si fa a giudicare bello qualcosa di così devastante, di così
spaventoso, specie a livello psichico?
Perché
lo è! Per come è scritto, impostato, raccontato! Per le tematiche
sottese, per il suo significare...
Perché
non è facile creare certe sensazioni di disagio e
spersonalizzazione, coinvolgere e invischiare il lettore in vicende
così irreali, allo stesso tempo facendogli sentire “il sapore
dell'incubo” (come direbbe Borges) al contempo rendendolo
plausibile... per cui, pur sapendo che è sogno (o finzione
narrativa), non riusciamo proprio a svegliarci!
Eppure
“Il Processo” non è solo questo: è una metafora, della
Giustizia divina, secondo alcuni, imperscrutabile e ineffabile,
un'esperienza dello spirito sull'ambiguità della natura umana,
secondo altri...
Ma
io non sono una critica (e le mie reminiscenze scolastiche vanno
sbiadendo), sono solo una lettrice, e da lettrice affermo che lo
stile è semplice, scabro, ma capace di una profonda bellezza, che ti
tocca il cuore e il cervello, e ancor più lo spirito, e anche se non
si coglie tutto alla prima lettura, si comprende comunque di essere
al cospetto di qualcosa di più di un semplice romanzo, e si avverte
la necessità di indagare, di approfondire... per poi ripercorrere la
trama con maggior consapevolezza.
Eccezionale.
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