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domenica 7 settembre 2014

Dettagli da pittura fiamminga


IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL
di Hayao Miyazaki
(2004)

C'è questo straordinario mondo fantasy dai paesaggi mozzafiato, con una guerra terribile che devasta tutto, le cui regole comprendiamo fino ad un certo punto, in cui la magia impera ed al contempo è una minaccia.
E poi questo castello mostruomeraviglioso, un incrocio tra la casa della Baba Yaga (la strega russa), un animale gigantesco e un mezzo di trasporto steam-punk, con una porta che si affaccia su città diverse... o sul misterioso Settore Nero (che un po' ci fa paura).
E poi abbiamo Sophie, una protagonista modesta, un po' bruttina, posata e ricca di buon senso, che nel dipanarsi della trama imparerà ad osare di più. La poveretta è costretta a lasciare la sua casa e il suo lavoro da cappellaia a causa di un maleficio che la porta ad assumere le sembianze di una novantenne.
La colpa, in un certo senso, è di Howl, il potente mago, un un figo ultraterreno, affascinante e vanesio, ma ardito, che, guarda caso, è anche il proprietario del castello errante...
La trama è davvero bella ed avvincente, metaforica, emozionante, carica di misteri e di fascinazione, di crescita interiore, di maturazione personale, con momenti dinamici ed attimi di contemplazione estatica, come di tenerezza, di solidarietà e di amore.
I personaggi sono splendidi, ed evolvono tutti, nel corso della storia, mettendosi in gioco e rivelandosi sempre più interessanti e complessi. I comprimari sono bellissimi (io adoro Calcifer, il dispettoso demone del fuoco), e ci sono immagini dall'incredibile potenza evocativa, ma che hanno altresì il potere di inquietare (la maledizione della Strega delle Langhe, la magia di Saliman, quando Howl chiama gli spiriti dell'oscurità...), con dettagli da pittura fiamminga, che inducono a rivedere la pellicola fotogramma per fotogramma, per non perdersi nulla. I disegni, poi, vantano una notevole profondità, anni prima che il 3D tornasse di moda.
E anche il linguaggio un po' antiquato finisce col piacerci, in armonia con l'incanto che ci trasmette la pellicola, e così l'efficace morale antimilitarista, che per una volta prevale sulla più Miyazakiana componente ecologista.
Tra i cartoni del Maestro, questo è uno dei miei prediletti, se non il mio preferito in assoluto. In poche parole: un capolavoro, di cui, tra l'altro, ho trovato soddisfacente anche la fine.
L'unico punto che mi ha lasciata un po' perplessa sono le motivazioni di Saliman, che mi sono parse poco comprensibili...

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