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venerdì 4 maggio 2018

I mostri come rifugio dell'anima

LA MIA COSA PREFERITA SONO I MOSTRI
di Emil Ferris


Anche la mia. 
Mostri e libri.
Ma non è solo per questo che reputo il volume – che ne promette altri, forse ancor più notevoli – eccezionale...
Cominciamo dai disegni: sono pazzeschi. A tratti caricaturali, a tratti quasi veri. Nello stesso modo in cui è vera la realtà: con molte sfumature, ma anche con un po' di sporcizia. In bianco e nero, con lampi di colore improvvisi, magari inaspettati (tipo una faccia blu), ma perfetti, allo stesso modo in cui lo sono i volti dei pittori impressionisti (che ci hanno insegnato che i volti non sono tutti rosa carne, ma contengono anche altre tinte...). D'altro canto i richiami pittorici sono moltissimi, tratti dalla cultura Pop come della Storia dell'Arte, descritti “da dentro”, fino a che non vi precipitiamo, fecendone un'esperienza multisensoriale.
Poi c'è la trama: poetica, dolorosa, leggera, divertente, pluristratificata, narrata dalla piccola Karen Reyes, di origini messicane, nella Chicago degli anni 60, che vede se stessa come una piccola licantropa, in quanto conscia di non essere conforme al mondo che la circonda. 
I livelli sono moltissimi, concatenati, e oltre ad una sensibilità e un talento notevoli,  contengono un sacco di sottotrame: quella di un suicidio inaspettato, che forse è un omicidio; quella di una ragazzina dall'infanzia difficile per molte ragioni (dalla sua diversità intrinseca alla malattia della mamma, dal fratellone protettivo ma troppo sanguigno, che gioca spesso con la morte, a oscuri segreti di famiglia, che si sommano alle difficoltà che affrontano tutte le ragazzine che si affacciano all'adolescenza),  una storia torbida e complicata che appartiene alla Storia e al passato... I mostri come rifugio escapista dell'anima, come risorsa ultima e porto sicuro, come una nuova identità che ci si ritaglia addosso, come ribellione o come punto d'osservazione, come rappresentazione del mondo e sua esemplificazione.
Il racconto non è lineare, ma il montaggio è sublime e risucchiante: ti fa distendere, ti seduce, ti assorbe, poi ti scrolla con violenza e ti tira una secchiata di acido addosso, ti disgrega, ti lacera, poi ti compatta.
E non ho nemmeno menzionato il quaderno a spirale... 
Un noir barocco, con intenti drammatici, a tratti ironici, un po' autobiografico, forse, e un po' romanzo di formazione.

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