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mercoledì 2 maggio 2018

Sarà colpa di Owen King?

SLEEPING BEAUTY
di Stephen e Owen King


Finalmente l'ho finito.
Dio, non ne potevo più. Per la prima volta dai tempi de “Le Creature del Buio” ho sinceramente faticato a leggere un romanzo di King. E non per la lunghezza, quella non è mai stata un problema. No, per il ritmo, vulnerato da manierismo, dissertazioni inutili, parentesi superflue. Tedio generale.
Che possono andare bene lo stesso se la trama è abbastanza forte o i personaggi sufficientemente carismatici, ma qui difettano l'una e gli altri.
In realtà, la storia non è brutta. Come spesso capita si disperde nel finale, un po' come un soufflè che si ammoscia subito prima di uscire dal forno, ma l'idea di partenza è fenomenale: dall'ambientazione carceraria alla faccenda dell'Aurora e delle belle addormentate che, una volta svegliate, sono furenti e omicide. 
Il problema sono gli sviluppi... Pedanti, già visti e rivisti, senza pathos né colpi di scena. E nemmeno sorretti da un gran impianto fantastico o da una adeguata mitologia narrativa. Lo stesso messaggio veterofemminista mi è parso un po' posticcio, manicheo e buttato lì. Se non addirittura cortigiano. Sarà colpa di Owen King? O sarà che il Re farebbe meglio a scrivere da solo? Però Zio Stevie in coppia con Peter Straub ci ha dato due delle sue opere migliori... 
La stessa vicenda raccontata in un altro modo e/o con personaggi meno piatti avrebbe potuto, se non aspirare al premio Pulitzer, quanto meno fornire buon intrattenimento. Invece qui si incespica, ci si affanna, e si fatica ad arrivare in fondo. La trama si annacqua e risulta vacua, stirata, pesante. Né carne né pesce. Né horror né fantasy. Né qualcosa di nuovo e diverso.
Tanto per chiarire: di solito uno Stephen King di circa 800 pagine mi dura a stento una settimana. Centellinando la lettura e inframezzandola con altri volumi.
Questa volta, e a 800 pagine non ci arriviamo, ho impiegato quasi cinque mesi per ultimarlo (anche se, certo, nel frattempo ho letto altro). 
Che dire? Spero che d'ora in poi padre e figlio vadano ciascuno per la propria strada.

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