QUALCUNO
VOLO' SUL NIDO DEL CUCULO
di Ken Kesey
Se
sei un malato di mente, a prescindere dal fatto che tu stia o meno in
ospedale psichiatrico, significa che sei diverso da tutti, spesso in
modo peculiare e magari persino pericoloso. Il romanzo, però, ci
insegna che sei anche uguale agli altri perché la pazzia, purtroppo,
non ti protegge dalla sofferenza, dalla tristezza, dai soprusi o
dalla solitudine. Non importa se si è tanti, ognuno è un mondo a sé
e non è semplice comunicare. E lo è ancora meno se il sistema (in
qualunque senso lo si voglia intendere: dalla società in generale,
che ha come primo obiettivo quello di sbarazzarsi di te, al
microcosmo chiuso del manicomio, costituito da personale sadico e
prepotente) si impegna a fiaccarti lo spirito, riducendo la tua
dignità umana ad un'espressione vuota e te ad un numero.
Questo
è esattamente quello che succede (da sempre, per quanto ne sappiamo)
in un manicomio dell'Oregon, in cui l'infermiera Ratched, monumentale
e sorridente, governa i pazienti con pugno di ferro, attuando una
serie di prevaricazioni, sovente più psicologiche che fisiche,
magari inducendoti infondati timori... Almeno finché qualcuno non si
decide a contrastarla, sfidandola apertamente, e a lottare contro
questo stato di cose, inducendo finalmente un po' di vita
nell'ospedale psichiatrico, un po' di allegria, e soprattutto un po'
di dignità e di riscatto umano.
Ken Kesey ritratto dal nostro vignettista
Il
titolo, dunque, allude a questo perché il nido del cuculo è il
manicomio, e un giorno qualcuno ci finì.. Ma non si limitò a
vegetare lì dentro, ad obbedire e tacere: no, si decise (o gli fu
inevitabile, per via del suo carattere) ad alzare la testa, e quindi
a volarci sopra...
Il
qualcuno è McMurphy, un irlandese dal sangue caldo, irrequieto,
indomabile, che non potrà che opporsi alle regole castranti
dell'ospedale psichiatrico, in cui egli stesso è ricoverato, in
teoria in via provvisoria. Ed è grazie a lui che gli altri pazienti
si ricorderanno di essere vivi, e dotati di volontà, desideri e
pulsioni...
Ce
lo racconta Bromden, l'io narrante, un colossale pellerossa che si
finge sordo muto e che è detto “ramazza” perché viene
regolarmente obbligato dal personale del manicomio a spazzare il
pavimento...
E
alla fine, nonostante la conclusione sia altamente drammatica, con un
crescendo di tristezze, pur contenendo una stilla di speranza, ci
chiediamo, chi preferiamo essere noi: se i normali o i pazzi...
Mi ha fatto piacere leggere questo post perchè mi ha fatto riflettere. Non mi ero mai soffermato a pensare che chi ha dei problemi psichici può soffrire o sentirsi solo esattamente come chi fortunatamente questi problemi non li ha. Se ci si pensa un pò invece questa è la prima conclusione a cui si arriva, ma, per l'appunto, ci si deve soffermare un pò su, altrimenti viene in automatico pensare che chi ha questi problemi è diverso, punto e basta. E invece no, per cui grazie di questo post che mi ha aperto gli occhi, su una cosa ovvia ma che faticavo a vedere
RispondiEliminaNe sono lieta. Il merito, ovviamente, è di Kesey... E ovviamente ti consiglio la lettura del libro! Anche il film merita, ma ci sono alcuni particolari che nel romanzo si chiariscono meglio... Saluti e grazie!
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