LA
REGOLA DELL'EQUILIBRIO
di Gianrico Carofiglio
Ossia
il quinto romanzo dedicato all'avv. Guerrieri (e prima o poi
recensirò anche gli altri), sempre più bravo, sempre più
riflessivo e sempre più morale... Forse persino troppo, tanto che
sono divisa tra l'ammirazione, la voglia di conoscerlo, e (quasi)
l'antipatia...
Il
titolo trae ispirazione da una frase de “I fratelli Karamazov”,
ma allude all'equilibrio... di chi? Di Guerrieri o del suo cliente?
Di entrambi, direi, perché tutto ha due facce...
La
trama evita la pedissequa serialità e si conquista un ruolo
indipendente, rispetto ai precedenti, rinnovandosi sia in ordine al
filone “amoroso” che, soprattutto, in ordine a quello
“giudiziale”. Invero, un po' di stanchezza si avverte, qualche
caduta di tensione, un paio di elucubrazioni in eccedenza ogni tot,
pesantezza sparsa, ma leggere Carofiglio resta sempre un piacere...
Anche se... la problematica di fondo è molto interessante, lo
sviluppo iniziale ne è all'altezza, ma il finale è scontato e
deludente. Peccato!
Il
tono, invece, è rassegnato, dolente, malinconico, e ci sta pure
bene, in linea con la storia, condita, per giunta, da riflessioni
personali di rara sensibilità (non tutte... come dicevo, ce ne sono
anche di superflue...).
E
poi Guerrieri, nel complesso, è un bel personaggio, ma sempre più
distante dai bei chiaroscuri di “Testimone inconsapevole” e
sempre più avviato sulla via della perfezione, non tanto per i
riferimenti culturali, che alla fine non sono niente di che, quanto
piuttosto per l'aria di condiscendenza mascherata da modestia con cui
l'avvocato osserva tutto e tutti e che ha un nonsoché di artefatto,
di fuorviante, che non mi convince del tutto e che, come già
sottolineato, ormai tende a suscitarmi una vaga antipatia. Forse
dipende solo dalla circostanza che i suoi giudizi sono troppo netti
(e non mi riferisco al caso giudiziario) a dispetto del proliferare
di precisazioni e incisi... Come se Guerrieri pensasse cose che non
ha davvero la forza di affermare, o come se portasse una maschera,
ecco... Come se si sforzasse di apparire modesto, benché sia certo
di essere superiore a chiunque...
Il
romanzo, ad ogni modo, mi è piaciuto, in particolare per i
riferimenti giuridici, dai tecnicismi alle spiegazioni, dalla parte
narrativa alle strategie difensive... Magistrale, tra l'altro, e
appassionante l'istruttoria in apertura! Ma anche i commenti
incidentali, ad esempio la definizione del linguaggio forense come
“sacerdotale e straccione” (in quanto traboccante di latinismi ed
espressioni desuete per fare “scena”, che segnalano
l'appartenenza ad una “casta”, ma sostanzialmente che più
sgrammaticato e aberrante non si può): arguta, calzantissima,
condivisibile e persino divertente.
Tanti,
in effetti, sono i sorrisi che strappano i commenti propriamente “da
addetto ai lavori”...
Peraltro,
è ugualmente evidente che l'autore del romanzo è un magistrato e
non un avvocato, perché quest'ultimo avrebbe una prospettiva diversa
rispetto a molte cose, e spesso più esacerbata, meno pacata...
E
forse, il problema del Guerrieri de “La regola dell'equilibrio”,
alla fine sta anche in questo.
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