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giovedì 18 dicembre 2014

Rassegnato, dolente, malinconico


LA REGOLA DELL'EQUILIBRIO
di Gianrico Carofiglio
 
 
Ossia il quinto romanzo dedicato all'avv. Guerrieri (e prima o poi recensirò anche gli altri), sempre più bravo, sempre più riflessivo e sempre più morale... Forse persino troppo, tanto che sono divisa tra l'ammirazione, la voglia di conoscerlo, e (quasi) l'antipatia...

Il titolo trae ispirazione da una frase de “I fratelli Karamazov”, ma allude all'equilibrio... di chi? Di Guerrieri o del suo cliente? Di entrambi, direi, perché tutto ha due facce...

La trama evita la pedissequa serialità e si conquista un ruolo indipendente, rispetto ai precedenti, rinnovandosi sia in ordine al filone “amoroso” che, soprattutto, in ordine a quello “giudiziale”. Invero, un po' di stanchezza si avverte, qualche caduta di tensione, un paio di elucubrazioni in eccedenza ogni tot, pesantezza sparsa, ma leggere Carofiglio resta sempre un piacere... Anche se... la problematica di fondo è molto interessante, lo sviluppo iniziale ne è all'altezza, ma il finale è scontato e deludente. Peccato!

Il tono, invece, è rassegnato, dolente, malinconico, e ci sta pure bene, in linea con la storia, condita, per giunta, da riflessioni personali di rara sensibilità (non tutte... come dicevo, ce ne sono anche di superflue...).

E poi Guerrieri, nel complesso, è un bel personaggio, ma sempre più distante dai bei chiaroscuri di “Testimone inconsapevole” e sempre più avviato sulla via della perfezione, non tanto per i riferimenti culturali, che alla fine non sono niente di che, quanto piuttosto per l'aria di condiscendenza mascherata da modestia con cui l'avvocato osserva tutto e tutti e che ha un nonsoché di artefatto, di fuorviante, che non mi convince del tutto e che, come già sottolineato, ormai tende a suscitarmi una vaga antipatia. Forse dipende solo dalla circostanza che i suoi giudizi sono troppo netti (e non mi riferisco al caso giudiziario) a dispetto del proliferare di precisazioni e incisi... Come se Guerrieri pensasse cose che non ha davvero la forza di affermare, o come se portasse una maschera, ecco... Come se si sforzasse di apparire modesto, benché sia certo di essere superiore a chiunque...

Il romanzo, ad ogni modo, mi è piaciuto, in particolare per i riferimenti giuridici, dai tecnicismi alle spiegazioni, dalla parte narrativa alle strategie difensive... Magistrale, tra l'altro, e appassionante l'istruttoria in apertura! Ma anche i commenti incidentali, ad esempio la definizione del linguaggio forense come “sacerdotale e straccione” (in quanto traboccante di latinismi ed espressioni desuete per fare “scena”, che segnalano l'appartenenza ad una “casta”, ma sostanzialmente che più sgrammaticato e aberrante non si può): arguta, calzantissima, condivisibile e persino divertente.

Tanti, in effetti, sono i sorrisi che strappano i commenti propriamente “da addetto ai lavori”...

Peraltro, è ugualmente evidente che l'autore del romanzo è un magistrato e non un avvocato, perché quest'ultimo avrebbe una prospettiva diversa rispetto a molte cose, e spesso più esacerbata, meno pacata...

E forse, il problema del Guerrieri de “La regola dell'equilibrio”, alla fine sta anche in questo.

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