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lunedì 18 novembre 2013

Allucinato, nevrotico, alienante


REQUIEM FOR A DREAM

(2000)

 
Il titolo dice tutto: un sogno muore.

Anzi ne muoiono quattro, e noi cominciamo a piangerli sin dalle prime scene, ancora permeate di speranza, ma già pregne della fine, perché il loro destino è già segnato – per colpa o per ingenuità. Lo testimonia la stessa suddivisione del film in stagioni (Estate, in cui conosciamo i protagonisti che iniziano a piantare i germogli del loro futuro, Autunno, in cui il dramma inizia davvero, Inverno, in cui si arriva alla tragedia), manchevole della primavera, che, com’è noto, rappresenta la rinascita e quindi una seconda possibilità. Che qui non c’è, è negata.

Perché si scende in basso, e poi ancora più giù.

La più dolorosa è la vicenda della casalinga (la superlativa Ellen Burstyn): vedova, sola, non vede l’ora di partecipare al programma televisivo che rappresenta una delle poche gioie che ha nella vita. Per farlo in accordo con i suoi sogni, tuttavia, dovrà dimagrire un po’: peccato le venga prescritta una dieta a base di anfetamine…

Poi c’è il figlio di lei (Jared Leto), tossicodipendente, fidanzato con un’altra tossica (Jennifer Connelly)… Tutto sommato due bei giovani, innamorati, colmi di aspettative e di vitalità, che però, per campare, decidono di darsi al traffico di stupefacenti insieme ad un amico…

Quattro storie, dunque, tre punti di vista, che narrano gli esiti di una discesa all’inferno parallela al mondo artificiale in cui i protagonisti tentano invano di rifugiarsi.

Il film è allucinato, nevrotico, alienante, con incursioni nel delirio (caratteristica di quasi tutto il cinema di Darren Aronofsky) e un montaggio ottimo che sottolinea la graduale e inarrestabile perdita di contatto con la realtà.

Non ci sono consolazione o riscatto: il messaggio è crudo, ma potente, contrario a qualsivoglia forma di dipendenza.

Dilaniante.

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