REQUIEM
FOR A DREAM
(2000)
Il
titolo dice tutto: un sogno muore.
Anzi
ne muoiono quattro, e noi cominciamo a piangerli sin dalle prime
scene, ancora permeate di speranza, ma già pregne della fine, perché
il loro destino è già segnato – per colpa o per ingenuità. Lo
testimonia la stessa suddivisione del film in stagioni (Estate, in
cui conosciamo i protagonisti che iniziano a piantare i germogli del
loro futuro, Autunno, in cui il dramma inizia davvero, Inverno, in
cui si arriva alla tragedia), manchevole della primavera, che, com’è
noto, rappresenta la rinascita e quindi una seconda possibilità. Che
qui non c’è, è negata.
Perché
si scende in basso, e poi ancora più giù.
La
più dolorosa è la vicenda della casalinga (la superlativa Ellen
Burstyn): vedova, sola, non vede l’ora di partecipare al programma
televisivo che rappresenta una delle poche gioie che ha nella vita.
Per farlo in accordo con i suoi sogni, tuttavia, dovrà dimagrire un
po’: peccato le venga prescritta una dieta a base di anfetamine…
Poi
c’è il figlio di lei (Jared Leto), tossicodipendente, fidanzato
con un’altra tossica (Jennifer Connelly)… Tutto sommato due bei
giovani, innamorati, colmi di aspettative e di vitalità, che però,
per campare, decidono di darsi al traffico di stupefacenti insieme ad
un amico…
Quattro
storie, dunque, tre punti di vista, che narrano gli esiti di una
discesa all’inferno parallela al mondo artificiale in cui i
protagonisti tentano invano di rifugiarsi.
Il
film è allucinato, nevrotico, alienante, con incursioni nel delirio
(caratteristica di quasi tutto il cinema di Darren Aronofsky) e un
montaggio ottimo che sottolinea la graduale e inarrestabile perdita
di contatto con la realtà.
Non
ci sono consolazione o riscatto: il messaggio è crudo, ma potente,
contrario a qualsivoglia forma di dipendenza.
Dilaniante.
Nessun commento:
Posta un commento