L'ESORCISTA
di William Peter Blatty
Parlo
del romanzo, quindi, non del film. E lo consiglio, cento volte di
più, non solo perché è scritto benissimo, ma soprattutto per
l'atmosfera suggestiva, che, per quanto intimista, risulta parecchio
disturbante (molto più degli effetti speciali cinematografici),
tanto che, per la prima volta nella mia vita, nonostante sia sempre
stata una gran consumatrice di horror, mi è scocciato tenere il
libro sul comodino (meglio che stesse lontano!). Colpa di retaggi
cattolici, probabilmente, benché io sia agnostica...
Precisiamo,
però, onde scongiurare delusioni: l'opera non fa paura nel senso che
si interrompe la lettura urlando, questo no, ci mancherebbe. Al
contrario non c'è nulla di immediato, piuttosto sensazioni che ti
strisciano dentro e ti pervadono, sino a pulsarti nel cervello, a
urticarti il sangue. Naturalmente, a patto di affidarsi all'autore e
a metterci qualcosa di proprio.
Intendiamoci,
il film mi è piaciuto, però, ecco... ci sono storie che sono più
adatte alla dimensione cartacea che allo schermo perché hanno
bisogno di maggior spazio per le riflessioni, per sviluppare le
implicazioni, e perché devono soffermarsi quanto più possibile
sulla stratificazione dei significati, che necessitano di
introspezione e solitudine, per poter attecchire... Quindi, per
quanto la pellicola sia pregevole e fedele al romanzo, comunque non
basta.
“L'esorcista”
fa parte di questa categoria e benché il suo vero protagonista (che
non è il demonio, come molti profani sono inclini a credere, ma
proprio l'esorcista che dà il titolo all'opera, Padre Karras – se
pure il primo ad adoperarsi per liberare la dodicenne Regan dalla
possessione non sia lui) non entra in scena subito, è sul sacerdote,
e non sulla mera possessione, che bisogna focalizzare la propria
attenzione...
Invero,
per quanto il nemico da affrontare sia niente meno che il diavolo in
persona – assai più temibile e subdolo, quindi, dei soliti zombie
e vampiri – la tensione è più psicologica che basata sulle
semplici vomitate verdi e rotazioni della testa a 180 gradi e gioca
molto sullo scetticismo (anche dello stesso Padre Karras) e sulla
difficoltà di accettare il fenomeno demoniaco come vero e quindi
combatterlo adeguatamente in una lotta che porterà il nostro eroe a
confrontarsi soprattutto con i suoi sensi di colpa e le sue paure.
Insomma,
non una mera accozzaglia di effettacci gore, come tanti sono portati
a pensare, ma un'opera raffinata, che pur rimanendo un romanzo di
genere riesce a toccare corde profonde e ad indagare i nostri timori
ancestrali in modo onesto, intelligente e non superficiale,
avvertendoci, se vogliamo, che la vera forza del Diavolo sta nel non
essere preso sul serio e quindi nella sua conseguente capacità di
insinuarsi nelle nostre vite senza che noi non solo ce ne accorgiamo,
ma non siamo neppure in grado di prenderne atto.
Concetto,
questo, suscettibile di più interpretazioni che vanno al di là di
quella meramente letterale.
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