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lunedì 23 giugno 2014

Pieno di rabbia e di rancore


UTO
di Andrea De Carlo
 
 
Tra i romanzi di De Carlo “Due di due” è il mio preferito, ma “Uto” gli va subito dietro.

Perché mi piace lui, Uto, pieno di rabbia e di rancore (il suo patrigno si è suicidato e lui, suo malgrado, finisce ospite in questa comunità spirituale di benintenzionati), corrosivo, sprezzante, enigmatico, bramoso di distruggere, ma con una certa raffinatezza, un po' di intelligenza, contro le illusioni e le fandonie. Che sembra indifferente ma non lo è.

Perché ci vedo un po' di me dentro, e molto di quello che vorrei.

Perché per una volta mi piace il nome del protagonista (una cosa che mi sorprende di De Carlo è che riesce sempre a dare ai suoi personaggi nomi che io trovo osceni...) che fin da subito mi ha affascinata, sedotta e conquistata (all'epoca della lettura ero più o meno sua coetanea).

Mi piace la storia, in cui abbiamo una comunità spirituale piena di buoni sentimenti e voglia di amarsi e di assistersi reciprocamente, come nella vuota pubblicità di un panettone... E mi piace vedere questo mondo che si infrange e si frantuma, perché è finto e artefatto, per l'effetto Uto.

E che poi, in linea di massima, è uno dei motivi cardine dei romanzi di De Carlo: l'equilibrio che si spezza.

Di solito la rivelazione, l'epifania, viene da un incontro amoroso inaspettato, che ci fa capire come il nostro modo di vivere sia semplicemente dovuto alle circostanze cui ci siamo adagiati, per pigrizia e per convenienza, che all'inizio, magari ci assomigliava, ma che adesso non funziona più e non è più davvero nostro. Anzi, non è nemmeno vero (comunità spirituale a parte, che già un po' ci fa sorridere e ci pare improbabile).

Qui non abbiamo l'incontro amoroso, ma un ragazzino difficile e problematico, che ci pare indifferente e sgradevole, ma che non lo è. O meglio, sì. Ma che è anche dell'altro.

Il romanzo ha i suoi tempi, a volte può apparire un po' lento. Questo se ciò che conta per voi è l'azione. Se invece vi interessa il modo di sentire dei personaggi, la repentinità con cui cambiano i loro pensieri, le loro impressioni, e vi piace il modo particolarissimo in cui scrive De Carlo, lineare, ma chirurgico... be', la cosa non vi tocca. Vi bevete ogni riga, e sorridete parecchio. Sì, perché ci sono alcune parti, piuttosto ironiche, che mi avevano fatto sghignazzare non poco.

E siete curiosi di andare avanti, perché volete proprio sapere come si sbroglierà la matassa, che si fa sempre più intricata, rigirandosi su se stessa.

E non è tanto importante, di per sé (il riassunto non è avvincente, è noioso), ma per come la percepisce Uto, e il suo contraltare/rivale/antagonista, Vittorio, il padre della famiglia Foletti, quella che lo ospita.

La conclusione, poi, è una delizia. Tanti la criticano, la trovano stupida, frettolosa, posticcia. Io non sono d'accordo. La fine doveva essere questa. Ed è logica, coerente, e rende la trama ancora più ironica e gustosa.

E ha il vantaggio di non essere univoca e defionitiva.

Perché non si sa mai, che cosa davvero pensi Uto...

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