UTO
di Andrea De Carlo
Tra
i romanzi di De Carlo “Due di due” è il mio preferito, ma “Uto”
gli va subito dietro.
Perché
mi piace lui, Uto, pieno di rabbia e di rancore (il suo patrigno si è
suicidato e lui, suo malgrado, finisce ospite in questa comunità
spirituale di benintenzionati), corrosivo, sprezzante, enigmatico,
bramoso di distruggere, ma con una certa raffinatezza, un po' di
intelligenza, contro le illusioni e le fandonie. Che sembra
indifferente ma non lo è.
Perché
ci vedo un po' di me dentro, e molto di quello che vorrei.
Perché
per una volta mi piace il nome del protagonista (una cosa che mi
sorprende di De Carlo è che riesce sempre a dare ai suoi personaggi
nomi che io trovo osceni...) che fin da subito mi ha affascinata,
sedotta e conquistata (all'epoca della lettura ero più o meno sua
coetanea).
Mi
piace la storia, in cui abbiamo una comunità spirituale piena di
buoni sentimenti e voglia di amarsi e di assistersi reciprocamente,
come nella vuota pubblicità di un panettone... E mi piace vedere
questo mondo che si infrange e si frantuma, perché è finto e
artefatto, per l'effetto Uto.
E
che poi, in linea di massima, è uno dei motivi cardine dei romanzi
di De Carlo: l'equilibrio che si spezza.
Di
solito la rivelazione, l'epifania, viene da un incontro amoroso
inaspettato, che ci fa capire come il nostro modo di vivere sia
semplicemente dovuto alle circostanze cui ci siamo adagiati, per
pigrizia e per convenienza, che all'inizio, magari ci assomigliava,
ma che adesso non funziona più e non è più davvero nostro. Anzi,
non è nemmeno vero (comunità spirituale a parte, che già un po' ci
fa sorridere e ci pare improbabile).
Qui
non abbiamo l'incontro amoroso, ma un ragazzino difficile e
problematico, che ci pare indifferente e sgradevole, ma che non lo è.
O meglio, sì. Ma che è anche dell'altro.
Il
romanzo ha i suoi tempi, a volte può apparire un po' lento. Questo
se ciò che conta per voi è l'azione. Se invece vi interessa il modo
di sentire dei personaggi, la repentinità con cui cambiano i loro
pensieri, le loro impressioni, e vi piace il modo particolarissimo in
cui scrive De Carlo, lineare, ma chirurgico... be', la cosa non vi
tocca. Vi bevete ogni riga, e sorridete parecchio. Sì, perché ci
sono alcune parti, piuttosto ironiche, che mi avevano fatto
sghignazzare non poco.
E
siete curiosi di andare avanti, perché volete proprio sapere come si
sbroglierà la matassa, che si fa sempre più intricata, rigirandosi
su se stessa.
E
non è tanto importante, di per sé (il riassunto non è avvincente,
è noioso), ma per come la percepisce Uto, e il suo
contraltare/rivale/antagonista, Vittorio, il padre della famiglia
Foletti, quella che lo ospita.
La
conclusione, poi, è una delizia. Tanti la criticano, la trovano
stupida, frettolosa, posticcia. Io non sono d'accordo. La fine doveva
essere questa. Ed è logica, coerente, e rende la trama ancora più
ironica e gustosa.
E
ha il vantaggio di non essere univoca e defionitiva.
Perché
non si sa mai, che cosa davvero pensi Uto...
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