DOLL
BONES – LA BAMBOLA DI OSSA
di Holly Black
Non
si giudica un libro dalla copertina, ma io da quella sono stata
attirata (bellissima!), e dalla promessa che c'è stampata sopra: “a
metà tra Stephen King e Neil Gaiman”, che mi ha reso l'incontro
inevitabile...
Invero,
nessuno dei due autori c'entra nulla, salvo per il fatto che siamo al
cospetto di un romanzo per ragazzi a tinte macabre e fiabesche (più
Gaiman che King, allora)...
Ciò
non significa che l'opera sia brutta, e che non sia godibile anche se
si è anzianelli, come me: si legge in fretta e volentieri, seppur
ogni tanto si interrompe la lettura perché ci sono momenti di stasi,
e qualche parentesi noiosetta... La parte propriamente dark è
suggestiva e ottimamente realizzata, per quanto poco originale, con
la solita bambola maledetta (però qualche innovazione c'è, e la tua
attenzione viene catturata), e sebbene, di fatto, non succeda
granché. Ci sono alcuni momenti indovinati ed efficaci, che portano
graditi brividelli striscianti (i riferimenti alla bionda), ma altri
(il campeggio devastato), sono superflui, banali e terribilmente
infantili.
Dunque?
Dunque
non importa quel che accade, quello è mero contorno, occasione,
importa invece a chi e come, perché i punti di forza del libro sono
da cercarsi altrove (e se ci si impalla sul binomio King-Gaiman si
rischia di esserne sviati): nei tre protagonisti (dodicenni ricchi di
immaginazione e di capacità inventiva), nel modo in cui viene reso
il loro sentire (specie per quel che riguarda Zach, l'io narrante) –
con grazia e levità, ma anche una certa profondità e un discreto
vigore – la loro amicizia, che viene messa alla prova, seppur non
platealmente, il rapporto con i genitori, anch'esso in discussione,
nella loro capacità di sognare, giocare e crescere/non crescere, che
poi è il paradigma dell'opera, il vero motore dell'avventura.
In
effetti, questo è soprattutto un Romanzo di Formazione a sfondo
gotico, con qualche spunto carino, e un buon sostrato psicologico.
Va
bene, “Doll Bones” non è un capolavoro, e in certi punti risulta
troppo artefatto, un po' fasullo, ma è dolce, nostalgico, e cosparso
lungo i bordi di polvere di fata (sebbene le fate non ci siano).
E
poi è bello il concetto che esprime riguardo all'avventura (e alla
paura), che a volte c'è, e a volte si impara a costruire, per il
piacere di viverla e condividerla con gli amici, come ultima ancora
di salvezza, da se stessi e dal mondo... Per il puro gusto di
immaginare. E di rendere vero ciò che si immagina. Che a volte,
però, lo è a prescindere.
Non
lo consiglierei ad un qualunque lettore accanito, rischierebbe di
trovarlo di poca sostanza, ma per un bambino vecchio un po'
nostalgico può essere una piacevole distrazione, non troppo
impegnativa, ma neanche superficiale. Che inoltre ha il pregio, sul
finale, di lasciarti dei dubbi stuzzicanti.
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