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giovedì 5 giugno 2014

Può non piacerci...


LO STRANIERO
di Albert Camus
 
 
A colpire è in primis la perfezione stilistica: queste parole asciutte, pulite che si combinano fra loro, in un'armonia essenziale, esatta, precisa, quasi asettica, che non di bellezza parla, ma che c'è, suo malgrado, e sfavilla, potente fino ad abbagliarci.

Annichilirci.

La trama, invece, lì per lì potrebbe non apparire allettante.

L'io narrante, “lo straniero”, è Meursault, un francese che vive ad Algeri. Gli muore la madre, ma lui non prova nulla, né per lei né per se stesso: è indifferente e si limita a tirare avanti, laconico, distaccato. Lo vediamo allora alle prese con Maria, una sua ex collega, una brava donna, che lo amerà teneramente, con serietà, ma che lui non sarà in grado di ricambiare. Perché? Perché sì. Anche in questa occasione, infatti, Meursault pare privo di sentimenti, o della capacità di provare emozioni o di essere coinvolto in alcunché. Siccome in fondo nulla per lui ha importanza.

Arriviamo quindi all'omicidio, quello di un algerino. Lo commette proprio lui, Meursault, per una serie di fatalità, e dovrà affrontare il processo, il cui esito potrebbe essere la pena di morte. E di nuovo si dimostrerà apatico e senza interesse.

Ecco perché Meursault è uno straniero. Non perché sia di origini francesi, ma perché proprio non sembra umano, è diverso da noi, da tutti. Nulla lo tange.

Come mai? Che cos'ha che non va?

Ed è davvero lui ad avere qualcosa di sbagliato, oppure siamo noi che non abbiamo capito, che ci ostiniamo a non comprendere?

E Meursault è davvero uno straniero o è solo afflitto da una prospettiva più lucida?

Camus non è semplicemente uno scrittore, ma anche un filosofo, e questo romanzo pare quasi lo svolgimento, l'applicazione pratica, del suo pensiero. Sì, perché secondo Camus è la vita ad essere assurda. Non l'indifferenza. Noi possiamo solo guardare ed assistere a quel che succede, che tanto accadrebbe comunque, a prescindere dal nostro volere. Disperarsi è vano.

Ed infatti il romanzo non ci trasmette angoscia: Meursault è tranquillo, sereno, oggettivo, sono gli altri che si agitano, Maria, il suo avvocato, noi...

Perché Meursault ha capito, la vita e la morte, il mistero su cui tutti si interrogano, e ha deciso di affrontarlo con dignità. Perché è solo questo quel che può fare l'uomo, è tutto lì quel che gli rimane.

Perché siamo tutti degli stranieri, il mondo non ci appartiene, soltanto che noi non lo sappiamo o rifiutiamo di crederlo.

Può non piacerci, è quasi ovvio che non ci piaccia, che ci paia ingiusto, malato e ...assurdo, guarda un po'.

Ma certamente ci piacerà questo romanzo. Non per quello che dice, e che magari non condividiamo (o magari sì), non necessariamente. Ma perché è un capolavoro, e va letto, ed è bellissimo.

E contiene un sacco di domande, come tutti i capolavori.

3 commenti:

  1. Io da ragazzino avevo letto un altro libro di Camus: "La peste".
    Sinceramente ora non lo ricordo benissimo ma ricordo abbastanza bene che, che come tu hai notato ne "Lo straniero", anche ne "La peste" c'era qualcosa di particolare nello stile dell'autore che mi aveva colpito positivamente. Credo proprio che leggero l'uno e rileggerò l'altro

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  2. e l'accento su "leggero" me lo son fumato! ;-)

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  3. Grazie del commento. Non ho ancora letto "La peste", ma mi ha sempre incuriosita, provvederò a leggerlo appena riuscirò a riesumarlo dagli anfratti perduti della mia povera bibliotecola... Saluti!!!

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