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martedì 10 giugno 2014

Trip nella mente di un universitario


LE STRAORDINARIE AVVENTURE DI PENTOTHAL
di Andrea Pazienza

Che cos'è il Pentothal? Una droga o uno siero della verità?
L'una e l'altro, e pure un “ragazzaccio” lisergico, il protagonista di questo fantasmagorico fumetto, ossia lo stesso Andrea Pazienza di un mondo alternativo: il nostro, di una quarantina (scarsa) di anni fa, verso la fine degli anni settanta...
Siamo a Bologna, e l'Italia è in fermento: tra violenza, cortei, studenti in rivolta, autogestioni e occupazioni. Seguiamo Pentothal nelle sue avventure, che più che avventure sono la vita stessa in tutti i suoi momenti, inclusi quelli imbarazzanti, densa di accadimenti, di scoperte, di fantasia, come quella di tutti i giovani, ma anche un po' di più, perché qui ci sono più onestà e più immaginazione, più rabbia e la forza di gridare. E spesso ci ritroviamo in bilico tra una manganellata, una canna (con tanto di istruzioni su come rollarla) e un sogno. Oppure sulla scia di Arzach.
Leggere questa graphic novel è come farsi un trip nella mente di un universitario dell'epoca: esuberante, libero, arrabbiato, disperato e folle, ma con sentimento e sincerità, tra dettagliato realismo e immaginazione delirante.
Ci sono continui cambi di registro, per disegni e testi, citazioni artistiche e fumettistiche, incursioni oniriche, inciampi, droga a volontà, e politica, tanta, che affiora di continuo, ma senza che se ne si debba necessariamente discutere. Ironia, spirito goliardico e variazioni stilistiche, eclettiche e possibilmente sgrammaticate, che sovente danno luogo ad una completa reinvenzione della sintassi...
Adesso siamo abituati (almeno per quanto riguarda il fumetto d'autore) alle tavole prive di schema, dalla partitura libera, con vignette che, lungi dall'essere allineate e squadrate sempre allo stesso modo, possono mutare in una totale, anarchica, festosa, sovrapposizione aggettante e destrutturante, dall'incedere bizzarro e selvaggio, ma all'epoca costituivano una novità, come quasi tutto in quest'opera fantastica e, sì, addirittura rivoluzionaria, a livello sia estetico che contenutistico.
Tanti ritengono che sia un'opera acerba (del resto, del Paz, è la prima e lui aveva appena ventun anni), ma personalmente è quella che mi è piaciuta più fra le sue: più di “Pompeo”, più di “Pertini”, e, lo ammetto, anche più di “Zanardi”. Perché c'è di più di tutto, tanto che pare quasi uscire dalle pagine!
Entusiasmante ed indimenticabile!

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