LE
STRAORDINARIE AVVENTURE DI PENTOTHAL
di
Andrea Pazienza
Che
cos'è il Pentothal? Una droga o uno siero della verità?
L'una
e l'altro, e pure un “ragazzaccio” lisergico, il protagonista di
questo fantasmagorico fumetto, ossia lo stesso Andrea Pazienza di un
mondo alternativo: il nostro, di una quarantina (scarsa) di anni fa,
verso la fine degli anni settanta...
Siamo
a Bologna, e l'Italia è in fermento: tra violenza, cortei, studenti
in rivolta, autogestioni e occupazioni. Seguiamo Pentothal nelle sue
avventure, che più che avventure sono la vita stessa in tutti i suoi
momenti, inclusi quelli imbarazzanti, densa di accadimenti, di
scoperte, di fantasia, come quella di tutti i giovani, ma anche un
po' di più, perché qui ci sono più onestà e più immaginazione,
più rabbia e la forza di gridare. E spesso ci ritroviamo in bilico
tra una manganellata, una canna (con tanto di istruzioni su come
rollarla) e un sogno. Oppure sulla scia di Arzach.
Leggere
questa graphic novel è come farsi un trip nella mente di un
universitario dell'epoca: esuberante, libero, arrabbiato, disperato e
folle, ma con sentimento e sincerità, tra dettagliato realismo e
immaginazione delirante.
Ci
sono continui cambi di registro, per disegni e testi, citazioni
artistiche e fumettistiche, incursioni oniriche, inciampi, droga a
volontà, e politica, tanta, che affiora di continuo, ma senza che se
ne si debba necessariamente discutere. Ironia, spirito goliardico e
variazioni stilistiche, eclettiche e possibilmente sgrammaticate, che
sovente danno luogo ad una completa reinvenzione della sintassi...
Adesso
siamo abituati (almeno per quanto riguarda il fumetto d'autore) alle
tavole prive di schema, dalla partitura libera, con vignette che,
lungi dall'essere allineate e squadrate sempre allo stesso modo,
possono mutare in una totale, anarchica, festosa, sovrapposizione
aggettante e destrutturante, dall'incedere bizzarro e selvaggio, ma
all'epoca costituivano una novità, come quasi tutto in quest'opera
fantastica e, sì, addirittura rivoluzionaria, a livello sia estetico
che contenutistico.
Tanti
ritengono che sia un'opera acerba (del resto, del Paz, è la prima e
lui aveva appena ventun anni), ma personalmente è quella che mi è
piaciuta più fra le sue: più di “Pompeo”, più di “Pertini”,
e, lo ammetto, anche più di “Zanardi”. Perché c'è di più di
tutto, tanto che pare quasi uscire dalle pagine!
Entusiasmante
ed indimenticabile!
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