MELANCHOLIA
Ho
adorato “Dogville”, ma con questa pellicola Lars Von Trier supera
sé stesso!
Non
è un film immediato, all'inizio ti spiazza un po', ed è lentissimo,
ma è anche straordinario, intelligente e molto profondo.
In
principio, lo spettatore viene flashato con circa dieci minuti di
immagini: potenti quanto evocative, eternizzate, simboliche,
drammatizzate dal preludio al primo atto del Tristano e Isotta di
Wagner che funge
da colonna sonora, ed al contempo ammiccanti a molti dipinti famosi
(soprattutto dei Preraffaelliti, ma non solo), in un trionfo di sensi
(perché ad un certo punto, quando le immagini si muovono, sembra
persino di sentirne il profumo) e di bellezza.
Per
attribuire un significato alla sequenza bisogna aspettare il termine
della stessa, quando si assiste alla collisione del pianeta
Melancholia con la Terra: il finale viene dunque anticipato già da
subito, suppongo per rendere il pubblico più consapevole.
Segue
la prima parte che vede Kirsten
Dunst nei panni di
una sposa bellissima e strana, Justine, che, anziché felicità,
esprime malessere, insofferenza, noia, e che nell'arco della serata
riesce a mandare a monte quasi ogni aspetto della sua vita,
matrimoniale e non, rompendo, con indifferenza o con rabbia, le
convenzioni sociali, frantumando ogni imposizione o convenevole, da
cui sembra sentirsi soffocare.
Le
fa da antitesi la perfetta sorella Claire
(Charlotte Gainsbourg), affettuosa, capace, razionale, totalmente
realizzata, mentre distrattamente si fa cenno al pianeta Melancholia
prossimo a passare vicino
alla Terra.
L'azione
è lenta, imperniata sui dettagli, sugli sguardi, sui silenzi, ma
interrotta ogni tanto da una scena inaspettata, magari di impatto
relativamente forte, dato il contesto: scatti d'ira, reazioni
incoerenti, atteggiamenti sconvenienti... soprattutto da parte di
Justine, che pare assente, lontana, disinteressata.
Poi
inizia la seconda parte: stessa ambientazione, stessi personaggi
principali, ma qualche giorno dopo. Si chiarisce perché Justine
fosse così strana e di nuovo la si confronta con la sorella Claire,
ma a poco a poco i termini del paragone vengono ribaltati, innescando
una serie di riflessioni foriere di conclusioni disarmanti, ma ricche
di significato.
L'azione
si fa più incalzante, benché continui ad essere descrittiva,
sostenuta peraltro, da una fotografia curatissima e meravigliosa
(ricca di echi pittorici), e gli scopi del film gradualmente si
svelano. Inutile ingannarsi ancora: Melancholia colliderà con la
Terra!
L'angoscia
si insinua allora nella quotidianità, sino a diventare panico,
paura, sino a disorientare e a far perdere il senso delle cose. Per
tutti tranne che per Justine (e il piccolo Leo, il nipotino, ma solo
perché è un bimbo e quindi ingenuo e innocente), che si riscuote e
diventa sé stessa, accettando il destino con lucido pessimismo. Ed
aiutando la sorella e il nipotino ad affrontare l'incombere di
Melancholia nell'unico modo possibile. Finale grandioso, lieto e
terribile insieme.
Davvero,
il film è lentissimo, ma non noioso: piuttosto ti permette di
gustarlo appieno, perché a poco a poco ogni sensazione scava dentro
di te e diventa tua, inebriandoti di malinconia e di bellezza.
Emotivo,
intimo: è una parabola sul malessere interiore, una metafora sulle
reazioni delle persone (sane e insane) dinnanzi ad un evento proprio
delle convenzioni umane, come il matrimonio, confrontato poi con le
reazioni ad un evento di portata sovrumana.
Ottime
la Dunst e la Gainsbourg, ma bravi anche gli altri interpreti ed in
particolare Charlotte Rampling, sgradevole madre delle due sorelle.
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