LA
FABBRICA DEGLI ORRORI
di Iain Banks
Il
titolo italiano non gli rende giustizia: banale ed inutilmente
descrittivo. Molto meglio l’originale: “The Wasp Factory”, che
allude ad una sorta di bugigattolo in cui il protagonista, lucido e
intelligente quanto disturbato, pratica la sua personalissima
religione a base di bizzarri rituali, feticci e sacrifici. Che a
volte hanno come oggetto le povere vespe, ma non solo.
E’
un romanzo shockante, perverso, che ad ogni pagina ti tramortisce e
sconvolge, ma in modo creativo, geniale, affascinante, senza essere
gratuito e fine a sé stesso. Certo, un po’ si autocompiace
goduriosamente, ma dando luogo ad una magnifica, psicotica ed
emozionante ossessione.
Quando
lo finisci e puoi reiterpretarlo con una nuova chiave di lettura –
chiarendo una seria di episodi che lì per lì lasciano perplessi –
il trauma si rinnova e ti lascia stordito e inerme… La sensazione è
quella di essere un coniglio (non Dado) in mezzo alla strada, di
notte, che si paralizza al sopraggiungere di un’auto e resta in
attesa di essere spolpettato, con la consapevolezza della morte negli
occhi, e che nel mentre viene violentato da un'orda di scimmie
idrofobe.
Però
non si tratta di un mero inno al sadismo (come, invece, ad esempio,
“La ragazza della porta accanto” di J. Ketchum, che, benché sia
un librino di appena 250 pagine, ho sinceramente fatto fatica a
finire. E a digerire). No, la trama è ricca, ben articolata, e il
protagonista è un mondo di sorprese: difficile prevedere che cosa
succederà.
Nulla
è percepito come innaturale: tutto viene accettato senza
discussioni. Al più con qualche vendetta…
Quando
un mistero si dipana, anziché deludere perché non è all’altezza
della tensione che lo ha preceduto, come spesso accade, ti lascia a
bocca aperta e tu fatichi a ritrovare l’uso della mascella.
Lo
stile è veloce, ma sanguinante, e a tratti quasi gioioso. Ti fa a
brani.
Indispensabili
stomaci forti e nervi saldi.
Un
romanzo fantasioso, a tratti ferocemente ironico, caustico,
deliziosamente perfido e grottesco. Geniale, annichilente e...
gustoso. Se si è cannibali.
P.S.
Io
lo avevo letto un po’ di annetti fa nell’edizione Tea Due.
Scartabellando in rete, però, ho appreso or ora che è stato
ristampato da Guanda (2000), con una traduzione del titolo più fedele
all’originale, La Fabbrica delle Vespe, e più recentemente da
Meridiano Zero (2012).
Perciò
aggiorno il Post e ringrazio le Case Editrici.
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