DRAG
ME TO HELL
Uno
degli horror più spassosi degli ultimi anni, capace di fondere
magistralmente paura e risate a crepapelle, dosate con abilità e
senso del ritmo (memorabile la schifaviliosa – per citar Isabella
Santacroce – scena con la dentiera, quella che si svolge nel
parcheggio...).
La
storia è divertente, ironica, e ricca di momenti indimenticabili (la
capra posseduta è una vera chicca, così come il pranzo dai
genitori del fidanzato della protagonista) mentre il personaggio
della zingara, la signora Ganush, vale da solo tutta la pellicola:
basta assistere al tamburellare delle sue unghie devastate per
sentirsi rizzare i capelli...
La
trama?
Semplice
quanto efficace: Christine, un'impiegata graziosa e gentile, per una
volta decide di attenersi alle regole della banca presso cui lavora
nella speranza di ottenere una promozione, rifiutando così una
proroga alla signora Ganush, un'anziana zingara che, senza di essa,
rischia di perdere la casa in cui abita. E che quindi maledice
Christine, scatenandole contro una Lamia, una sorta di demone
malefico che giocherà con lei per tre giorni prima di trascinarla
con sé all'Inferno.
Insomma,
finalmente Sam Raimi replica i fasti de “La Casa 2” (“La Casa”
era troppo seriosa, mentre “L'Armata delle Tenebre” eccedeva
nell'altro senso, oltrepassando il limite del demenziale di classe)
coinvolgendo lo spettatore, perennemente in bilico tra un urlo e una
risata!
Mi
tocca, però, muovere un appunto: scartabellando librini e riviste
non ho potuto evitare di notare come molti recensori (Film Tv, Dylan
Dog Almanacco della Paura, etc.) abbiano preteso di trarre dal film
una morale, biasimando il comportamento della protagonista che si
merita la giusta punizione (qualcuno ammette che sia un tantinello
sproporzionata) per aver rifiutato il prestito alla povera zingara.
Nessuna pietà, dunque, verso la fanciulla, né alcuna simpatia.
Ebbene,
dico io, ma come state?
A
parte che Christine dimostra in più occasioni sensibilità, coraggio
e notevole buon cuore (oltreché straordinarie risorse)... La verità
è che doveva rifiutare la proroga! La Ganush ne aveva già ricevute
due, inutilmente, e Christine era comunque moralmente obbligata a
fare gli interessi della banca, e questo al di là della paventata
promozione! La generosità con i soldi e gli interessi degli altri
non è generosità: è solo pietismo, o ipocrisia, o slealtà. Certo,
quando non si chiama furto (o appropriazione indebita, o peculato)...
Non
c'è morale, qui, ma solo ironia!
Chiunque
(recensori compresi) al suo posto avrebbe agito come lei: tutta
l'azione precedente è tesa a portarci a questa conclusione, a
partire dalle pressioni cui Christine è sottoposta al lavoro – e
non solo – e che contribuiscono a rendere la sua scelta
inevitabile. Scelta che, peraltro, è contraria alla sua natura,
essenzialmente buona e generosa, e che nella fattispecie viene
forzata.
Non
è la punizione di una persona cattiva, quella cui assistiamo, o di
una che ha preso la decisione sbagliata: è solo la sventurata
vicenda di una ragazza che potrebbe essere chiunque, ma che, a
differenza di chiunque, ha più pregi che difetti. E' vero, dopo che
la Ganush si inginocchia, lei chiama la sicurezza: ma perché è
spaventata e in imbarazzo, e subito si pente e cerca di scusarsi...
Che diamine, non riesce neppure a passare la maledizione al suo
spregevole collega, che pure se la meriterebbe con gli interessi!
Se
Christine ha dovuto affrontare le terribili ire della Lamia è
soltanto perché, guarda un po', siamo in un horror e non in una
favola di Esopo! Un horror che non ci avrebbe spaventato o
appassionato allo stesso modo se la protagonista fosse stata
semplicemente una bieca arrampicatrice sociale, perché di lei non ci
sarebbe importato alcunché!
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