IL
SEGGIO VACANTE
di J. K. Rowling
Lo stile è
quello dell’autrice di Harry Potter, riconoscibilissimo, ma la
trama non ha nulla da spartire con la saga del maghetto più famoso
del mondo.
Non tanto e
non solo perché questo è volutamente un libro per adulti, quanto
piuttosto perché non è dominato da magia, immaginazione e amicizia,
bensì da una visione pessimistica – e realista e consapevole, per
quanto estrema – della provincia inglese e dell’umanità in
generale, che nel complesso risulta davvero desolante.
Il marcio si
annida ovunque, nel privato e nel sociale, e persino nel mondo degli
adolescenti, fatto di rancori, sofferenza, e senso di vuoto; persino
nelle famiglie: disfatte e fragili, fondate sulle convenzioni, più
che sull’amore. I rapporti sono spesso esacerbati, all’insegna
della grettezza, dell’avidità, dell’egoismo e del senso di
sopraffazione. L’unico personaggio che sembra essere davvero
positivo muore nelle prime pagine del libro (lasciando appunto
vacante il seggio attorno a cui ruota l’intera vicenda).
Un’opera
cupa, in cui tutti i nodi, in modo più o meno spiacevole, finiscono
prima o poi per venire al pettine, creando risonanze ed ulteriori
negatività, destinate ad intrecciarsi e ad influenzarsi
reciprocamente.
Nemmeno il
finale è davvero consolatorio, perché il prezzo che si paga
affinché i pezzi tornino a posto è davvero caro...
L’unico
motivo per cui “Il seggio vacante” non risulta opprimente è la
scrittura limpida della sua autrice: scorrevole, semplice, ma ricca
di particolari.
La Rowling
si concentra su più personaggi e costruisce la trama tassello per
tassello, in soggettiva, illuminandoci di volta in volta sul pensiero
di ognuno dei suoi protagonisti, che in un primo momento sembrano un
poco stereotipati, ma che risultano sempre più veri e sfumati,
indagati a fondo nelle loro motivazioni.
Nel
complesso devo dire che questo libro mi è piaciuto: all’inizio si
legge volentieri, man mano però ci si appassiona, ci si
incuriosisce, la tensione aumenta e sfocia in una serie di mirabili
cliffhanger destinati a convergere nel finale che, inutile dirlo,
doveva proprio essere quello… Però…
Però.
Dopo
l’ultima pagina, che in sé per sé mi ha soddisfatta, ho avvertito
che qualcosa non andava, una sorta di retrogusto artificiale…
Non sono
ancora riuscita a dare un nome a questo qualcosa, o a chiarirmelo
completamente, liberandolo da ogni dubbio… A furia di rifletterci,
tuttavia, oso azzardare che forse il problema è dato dall’eccessiva
perfezione con cui è stata strutturata la storia, in cui ogni
casella si incastra così esattamente da non poter essere davvero
sincera, davvero sentita, ed infatti il punto è che forse mi appare
forzata, soprattutto per quanto riguarda la psicologia dei
personaggi. Presi singolarmente mi sembrano convincenti, ben
costruiti, ma esaminandoli tutti insieme, nel complesso, avverto una
nota stonata.
Piccola
piccola, ma insistente.
Oppure il
problema, in linee ancora più generiche e nebulose, è che l’autrice
ci abbia messo troppa testa e poco cuore, senza arrivare davvero
all’anima dei lettori, come invece era riuscita a fare con
l’eptalogia che l’ha resa un’icona…
Pazienza.
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