HUNGER
GAMES
di
Suzanne
Collins
vs.
BATTLE
ROYALE
di
Koushun Takami
(romanzi)
Ho
finito leggere la trilogia della Collins e il romanzo di Takami la
settimana scorsa, ma prima di pronunciarmi in proposito ho preferito
che il
tutto si sedimentasse un po’…
Entrambi
parlano di adolescenti, maschi e femmine in egual numero e da un
numero contrassegnati, costretti da un regime totalitario ad
uccidersi a vicenda in uno spazio circoscritto (isola o arena), fino
a che ne resterà solo uno, che, almeno in teoria, sarà libero di
godersi la vita e i privilegi che gli deriveranno dalla vittoria…
Battle
Royale è uscito anni prima.
Dunque,
in definitiva, la domanda è: si può davvero affermare che la
Collins lo abbia copiato?
Lei
sostiene di aver avuto l’illuminazione facendo zapping in Tv, tra
reality e scene di guerra, ed in effetti lo trovo plausibile: per
quanto l’idea di base sia geniale, in effetti, non serve un genio
per concepirla…
E’
innegabile, però, che lo spunto delle due opere sia pressoché
identico, sebbene queste risultino completamente diverse per
atmosfere e per sviluppo. E alla fine anche “Il Signore delle
Mosche” di W.
Golding è simile,
e sotto altri aspetti anche “La lunga Marcia” e “L’uomo in
fuga” di S. King, o “1984” di G. Orwell.
Certo,
di primo acchito Hunger Games può davvero sembrare la versione
hollywoodiana di Battle Royale: un'americanizzazione del gusto
giapponese, opportunamente ammorbidito, a cui viene apportata qualche
variazione… ma non lo è. Non solo. Con tutto che, anche se fosse,
che importa?
Sono
entrambi degni di interesse.
Battle
Royale è decisamente più crudo e più freddo: mentre lo leggi
avverti un senso di malessere crescerti dentro, un’oppressione da
cui non riesci a liberarti, specie nelle prime pagine. Le morti sono
descritte una ad una, dettagliatamente, nelle loro dinamiche e
motivazioni, mai date per avvenute in lontananza, mai semplicemente
evocate con uno sparo di cannone, ma non fini a se stesse o al gusto
dello splatter.
Possono
sembrarlo, ma soprattutto sono una rappresentazione delle possibili
reazioni umane, di cui offrono un esempio per ogni carattere e
sentimento. Pura vertigine, pura spersonalizzazione, talvolta con
tocchi di ambiguità.
Questo
romanzo mi ha reso nervosa, irritabile. Dovevo interrompermi di
continuo per respirare e poter continuare a leggere, soprattutto
all’inizio. Allo stesso tempo mi ha incuriosita: è qualcosa di
totalmente nuovo, di aberrante. Ti affascina nella sua lucida e
chirurgica esattezza (peraltro, nel prosieguo, acquista toni più
umani).
Il
regime descritto è totalitario, come in Hunger Games, ma in modo più
brutale, meno sottile.
Nel
libro della Collins i giochi vengono fatti passare per spettacolo –
sebbene tutti siano consci che corrispondano ad una punizione e ad un
deterrente per chi vi è coinvolto – i tributi (i concorrenti)
vengono sfamati e agghindati, intervistati e venerati, addestrati e
coccolati (anche se...), mentre in Battle Royale la faccenda è
chiara: si tratta di un programma di guerra e i ragazzi vengono
semplicemente strappati alla loro vita. Sono carne da macello, nulla
più, e come tali vengono trattati.
Se
i genitori o gli insegnanti, una volta informati, si oppongono,
vengono massacrati senza tante cerimonie. La violenza non resta sullo
sfondo, viene sviscerata e indagata da ogni angolazione.
Per
giunta la situazione è ancora più crudele se si pensa che coinvolge
intere classi di studenti delle medie: in linea di massima più
giovani e, soprattutto, legati fra loro da affetto e amicizia.
Lo
spettacolo non viene diffuso in Tv, serve semmai per elaborare piani
di guerra e statistiche, per il gusto della sperimentazione sadica.
Solo il nome del vincitore viene rivelato. Spesso dopo che è uscito
di testa. Pare che sia impossibile, quindi, non perdere se stessi...
Non
solo! Hunger Games riguarda un futuro abbastanza lontano e distopico,
con interessanti trovate fantascientifiche in fatto di genetica, di
ambientazioni, e persino di moda.
Battle
Royale è il presente, è l’oggi, senza fronzoli, senza orpelli.
Atterrisce,
questo.
Hunger
Games, nonostante le tematiche simili e la tensione emotiva che lo
pervade, ti accompagna attraverso la voce di Katniss, la
protagonista, intensa e sensibile, ma forte, determinata, positiva.
Un’eroina. Un simbolo. Fai tue le sue paure, ti immedesimi, ti ci
aggrappi. Man mano prosegui nella trama, il suo carattere si fa più
sfumato, più interessante, acquista spessore e motivazioni. La trama
stessa passa da “videogame su carta” alla storia di una
rivoluzione. Si evolve, matura, si complica.
La
sua dimensione è più umana, più lineare, multiforme, e concede
sempre una speranza, un barlume di felicità, o di bellezza, o di
incanto.
In
Battle Royale, anche i sentimenti positivi vengono strumentalizzati
per rappresentare l’orrore. Per esasperarlo. Ci sono personaggi
buoni, che riescono a non corrompersi, o a non essere governati solo
dalla paura, ma sono meno carismatici di Katniss, e soprattutto il
processo di immedesimazione non è immediato. Il tuo malessere non
viene riscattato.
In
Hunger Games, alla fin fine, ti senti coinvolto, appassionato, ma non
sull’orlo del baratro, e la sensazione, se si vuole, è inversa:
fatichi a staccarti dalla lettura, ti affezioni ai personaggi, e le
prospettive, in generale, sono più rosee, più liete.
La
violenza rimane in secondo piano, è meramente funzionale, e c’è
sempre qualcuno a cui tornare, per cui lottare: Katniss e Peeta
mettono alla prova se stessi, ma vengono aiutati da tante persone,
scoprono solidarietà, amicizia… E li scopre anche il lettore.
Si
va al di là della mera sopravvivenza e si lotta anche per altre
ragioni, tanto che si è disposti al sacrificio e spesso lo si
sceglie.
Si
resta fedeli a se stessi, ed anzi si migliora. Si cresce. Si analizza
ciò che si deve affrontare e ci si mantiene saldi alla propria
umanità, al contempo esprimendo il proprio rifiuto per la vicenda in
cui si è stati forzosamente collocati e che si sente come ingiusta e
spietata.
E
comunque i giochi non sono, come nel romanzo giapponese, l'intero
mondo narrativo, ma solo la partenza, la base.
Hunger
Games è più avventura e più melodramma.
Meno
splatter.
E
reca in sé una molteplicità di confronti (la frivolezza con la
necessità, il lusso con la miseria, lo spreco con la fame), di
denunce (il potere manipolazione dei Mass Media, la
spettacolarizzazione della violenza), di toni, di accenti, di sotto
trame… E’ più soft, più ottimista.
Per
vincere i Giochi non bisogna tanto essere forti, quanto piacere al
pubblico.
Battle
Royale è più di impatto, più forte, più disperato.
C’è
sempre un velo di diffidenza, verso chiunque.
Un
sistema avvelenato e avvelenante, che porta alla follia e snatura
l’uomo (che qui è solo un ragazzino/a), lo spersonalizza, mettendo
in crisi i suoi valori, rivelandone l’inciviltà, la ferocia, e gli
istinti più bassi.
Non
ti esalta, ti annichilisce.
E
ti agghiaccia.
Solo
per adulti.
Anche
se… sul finale alcuni concetti si ribaltano.
Non
entro nel dettaglio ed evito spoiler, però mentre la trilogia della
Collins si tinge di desolazione e cupezza, Battle Royale, nel suo
epilogo, ci permette di intravedere la luce e ci riscalda.
Ad
ogni modo, per tornare al punto di inizio: no, la Collins non ha
copiato Battle Royale. Al massimo può esservisi ispirata e c’è
comunque dell’originalità nel suo lavoro… E poi, di nuovo
chiedo: davvero importa?
Ho
letto con piacere entrambe le opere e sono contenta che ci siano
tutte e due perché mi hanno intrattenuto in modi opposti e quasi
complementari, regalandomi emozioni totalmente diverse.
La
verità è che a leggerli in contemporanea, i romanzi moltiplicano
pregi e motivi di riflessione, stemperando i reciproci difetti.
Semplicemente,
consiglio entrambe le opere.
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