AGOSTINO
di Alberto Moravia
Credo
possa essere considerato a pieno titolo un romanzo di formazione, ma
senza la magia che di solito caratterizza questo tipo di letture. Al
contrario, “Agostino”, brevissimo e incisivo, è quasi crudele,
rude, tremendamente realistico, crudo, a tratti persino scabroso.
Non
c'è violenza, non c'è malvagità, non fraintendetemi. Anzi, le cose
potrebbero andare molto peggio (si veda il personaggio di Saro). Però
l'innocenza termina bruscamente, colpo su colpo, e il protagonista
perde qualcosa, per sempre. Finisce l'illusione, finisce il
disincanto. Senza gradualità.
Proprio
per questo la sua storia – in cui, se vogliamo, ad un certo
livello, non succede nulla di eclatante, ma che è eclatante lo
stesso, proprio perché capita a lui, e a quell'età – risulta
commovente e intensa, pungente, persino dolorosa.
Agostino
ha solo tredici anni, orfano di padre, è ingenuo, dolce, adora sua
madre, con cui ha un legame intimo che se fosse descritto appena meno
bene ci farebbe pensare a Norman Bates. Sono in vacanza insieme, al
mare. La mamma è ancora giovane e bella e tutto va a meraviglia,
almeno fino a che fra loro si frappone Renzo, la cui compagnia la
donna sembra gradire. Agostino no, e comincia ad essere lasciato
solo. Allora inizia a frequentare un gruppo di coetanei, molto più
svegli di lui, più rozzi, meno agiati, che, scopre con amarezza,
considerano sua madre “una facile”.
Il
rapporto familiare cambia, cambia la visione che il figlio ha di lei,
il mondo di Agostino ne esce sconvolto, e lui cercherà di
affrontarlo, accettando la nuova consapevolezza acquisita e
crescendo, senza, per fortuna, arrivare a scoprire tutto.
Lo
stile è ad un tempo lirico e oggettivo, tremendamente efficace,
l'approfondimento psicologico magistrale, capace di scandagliare ogni
dubbio, ogni shock, dell'animo di Agostino e di rappresentare una
solitudine totale e desolante. Sublime.
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