E
ORA PARLIAMO DI KEVIN
di Lionel Shriver
Il
romanzo si presenta come una raccolta di lettere scritte da Eva al
marito, Franklin, da cui si è separata, ma che lei continua ad
amare.
Il
punto, però, non è tanto il loro rapporto, che pure viene
sviscerato e analizzato minuziosamente, sin dalla radice, quanto
piuttosto quello tra i genitori (e lei in particolare) e il figlio,
l'adolescente Kevin. Che poco prima di compiere sedici anni ha ucciso
otto compagni di scuola e un'insegnante.
Cambiando
tutto.
Oscilliamo
dunque tra il presente doloroso di Eva, fatto di povertà (il
processo e il risarcimento alle famiglie delle vittime l'ha costretta
a rinunciare al benessere), senso di colpa, visite in carcere,
solitudine e meschine vendette, e il passato, in cui lei, lungi dal
rifugiarsi, cerca quei campanelli d'allarme spaventosi, che all'epoca
l'avevano impaurita, ma comunque non preparata agli eventi brutali
in attesa dietro l'angolo.
Il
perno della sua esistenza, infatti,
d'ora in poi, sarà il giovedì in cui Kevin
ha compiuto il massacro, e attorno a cui, inevitabilmente, ruoterà
ogni suo pensiero, tornando su se stesso, in cerca di una
spiegazione, di un perché.
Un
romanzo fortissimo, sottile, crudele, complesso, e moralmente
devastante, sull'amore e sulla morte, che potrà non piacerci, ma mai
lasciarci indifferenti. Terribile, ma anche dolcissimo, fatto di
dolore e di biasimo, di sconcerto e sospetto. Ma anche di dedizione,
amore e sacrificio, il cui nocciolo è la maternità.
I
personaggi sono persone viventi, rese in ogni pulsione, pensiero,
stato d'animo, esitazione o incertezza (quanto intense saranno le
nostre emozioni a riguardo!).
Il
montaggio è superbo, il ricorso ai flashback calibrato al
millimetro, eppure senza schema. Lo stile è magistrale, con un
frasario spontaneo, ma ricercato, in cui ogni sfumatura viene
descritta con un'esattezza incomparabile e la prosa scorre in un
flusso gentile, ma irto di asperità inaspettate.
Già
così la trama sembra abbastanza scioccante, e crediamo erroneamente
che sia definita. Ma la verità è che ci sono altri colpi di scena.
Alcuni piccoli, che produrranno domande; altri che ci lasceranno
attoniti, allibiti, esanimi. Soprattutto verso la fine.
E
continueremo a sentirne il sapore per giorni, in un perenne reflusso
gastrico, affannandoci a ripercorrere tutto da capo, come Eva,
vagando attorno al giovedì, trovando chiavi di lettura diverse, in
cerca di redenzione, di comprensione, di uno spiraglio (e qualcuno,
invero, ci sarà, e sarà caldo e colmo di luce).
Ma
anche in cerca di dettagli, per scoprire che no, non siamo stati
ingannati: abbiamo dato noi per scontato che fosse così, perché era
logico, doveva esserlo.
Sbagliavamo.
Non
è un romanzo horror, questo. Eppure lo è, lo è dentro, e fa
davvero male.
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