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giovedì 20 marzo 2014

Splendidamente genuino


HENRY MILLER

Uno scrittore che adoro (da non confondere con Arthur, quello di “Morte di un commesso viaggiatore”, marito della bella Marilyn, che pure mi piace, ma non c'entra nulla), più per lui che per come scrive.

Scrive bene, però.

Scrive da dio.

Magari non si nota subito, perché è volgare, per contenuti ed espressioni, e poco letterario, ma se si analizzano il testo e la struttura della frase, o semplicemente se ci si lascia andare, allora… Allora wow! (Ricordo la prefazione di uno de “I Meridiani”, collana della Mondatori che raccoglie i classici della letteratura e, fra questi, le opere di Miller, in cui si confrontavano impietosamente il suo stile con quello del nostrano e coevo Moravia… Miller lo sbaragliava su tutta la linea!)

Frasario originalissimo, gastrico, potente, abbinamenti lessicali insoliti, ma di mortale efficacia... Un'eleganza pura, arbitraria, metafisica, che sconvolge. Che arriva dritta al punto, sbattendocelo in faccia.

Ma soprattutto quest'autore è se stesso, splendidamente genuino, nel bene e nel male.

Tendenzialmente scrive di sé, della sua vita sbandata, precaria, fatta di trasgressione, di disordine e malattie veneree (ad esempio, mi sono fatta una cultura sullo scolo...) con una prosa a metà tra l’autobiografia e il romanzo, disseminando il tutto con riflessioni iconoclaste e contro corrente, spruzzate di critica sociale.

Ed è un bel tipo, Miller, davvero.

Anche come scrittore.

E’ uno che ha sfondato tardi, e tra tutti è quello che dà il consiglio migliore (parafrasando, sfrondando il “francese”, andando a memoria, e probabilmente aggiungendoci del mio): scrivi per te, anche se ti dicono che produci solo immondizia. E chi se ne cale di quel che ti dicono gli altri. Chi se ne cale della loro stupida opinione. Scrivi per te, e al diavolo tutti!

Tra le sue opere quelle che ho preferito sono senz'altro “Tropico del Cancro” e “Tropico del Capricorno”, vagamente deliranti, tra flussi di coscienza e salti temporali, ma gustose, al di là delle abbondanti dosi di sesso, descritto senza freni e con molta sincerità, per digressioni e ragionamenti, per l'atmosfera bohémienne che si respira, laddove invece, ad esempio, “Max e i fagociti bianchi”, a parte il titolo fantastiglioso, non mi aveva entusiasmato granché, ed anzi lo ricordo a stento.

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