HENRY
MILLER
Uno
scrittore che adoro (da non confondere con Arthur, quello di “Morte
di un commesso viaggiatore”, marito della bella Marilyn,
che pure mi piace, ma non c'entra nulla),
più per lui che per come scrive.
Scrive
bene, però.
Scrive
da dio.
Magari
non si nota subito, perché è volgare, per contenuti ed espressioni,
e poco letterario, ma se si analizzano il testo e la struttura della
frase, o semplicemente se ci si lascia andare, allora… Allora wow!
(Ricordo la prefazione di uno de “I Meridiani”, collana della
Mondatori che raccoglie i classici della letteratura e, fra questi,
le opere di Miller, in cui si confrontavano impietosamente il suo
stile con quello del nostrano e coevo Moravia… Miller lo
sbaragliava su tutta la linea!)
Frasario
originalissimo, gastrico, potente, abbinamenti lessicali insoliti, ma
di mortale efficacia... Un'eleganza pura, arbitraria, metafisica, che
sconvolge. Che arriva dritta al punto, sbattendocelo in faccia.
Ma
soprattutto quest'autore è se stesso, splendidamente genuino, nel
bene e nel male.
Tendenzialmente
scrive di sé, della sua vita sbandata, precaria, fatta di
trasgressione, di disordine e malattie veneree (ad esempio, mi sono
fatta una cultura sullo scolo...) con una prosa a metà tra
l’autobiografia e il romanzo, disseminando il tutto con riflessioni
iconoclaste e contro corrente, spruzzate di critica sociale.
Ed
è un bel tipo, Miller, davvero.
Anche
come scrittore.
E’
uno che ha sfondato tardi, e tra tutti è quello che dà il consiglio
migliore (parafrasando, sfrondando il “francese”, andando a
memoria, e probabilmente aggiungendoci del mio): scrivi per te, anche
se ti dicono che produci solo immondizia. E chi se ne cale di quel
che ti dicono gli altri. Chi se ne cale della loro stupida opinione.
Scrivi per te, e al diavolo tutti!
Tra
le sue opere quelle che ho preferito sono senz'altro “Tropico del
Cancro” e “Tropico del Capricorno”, vagamente deliranti, tra
flussi di coscienza e salti temporali, ma gustose, al di là delle
abbondanti dosi di sesso, descritto senza freni e con molta
sincerità, per digressioni e ragionamenti, per l'atmosfera
bohémienne che si respira, laddove invece, ad esempio, “Max e i
fagociti bianchi”, a parte il titolo fantastiglioso, non mi aveva
entusiasmato granché, ed anzi lo ricordo a stento.
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