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giovedì 27 marzo 2014

Scritto magistralmente


DUE DI DUE
di Andrea De Carlo

 
Di De Carlo ho letto tutto, ma è questo il romanzo che riassume meglio la sua poetica, le tematiche a lui care, e che in un certo modo ne è la cifra totalizzante.

Vivido, intenso, rappresentativo.

Dell'esperienza del crescere, della vita, dell'amicizia (che talvolta è una corsa in salita, che non sai dove porta, non sai dove va, ma non per questo è scevra di bellezza e soddisfazioni. O di inciampi), di una generazione e di un'epoca cruciale, il '68, delle sue conseguenze, strascichi, illusioni.

Con una nota vibrante che gli dona autenticità.

Scritto magistralmente con uno stile secco, nervoso, personale e caratteristico, dotato di una precisione vertiginosa di intenzioni e pensieri. Che spesso ci sembra quasi si compongano in diretta, davanti a noi, mentre leggiamo.

La storia di un'amicizia iniziata a Milano, sui banchi di scuola, al primo anno di Ginnasio, e che dura un'intera vita, fatta di cambiamenti, di alti e bassi, di entusiasmi e delusioni.

Due personalità contrapposte, complementari, quella di Mario, l'io narrante, il tipico bravo ragazzo introverso che fa da spalla all'amico più carismatico, e di Guido Laremi (chiamato spesso con nome e cognome, come una rock star, come se il nome proprio da solo non fosse sufficiente a definirlo), il ribelle antiborghese, fascinoso, irruento, leader naturale.

E Guido ci conquista subito, in un battito di ciglia, ci avvince, ci seduce, mentre Mario è apatico, incolore, resta sullo sfondo... Ma il tempo ci rivelerà che laddove Guido è sostanzialmente un tipo tormentato, infelice e votato all'autodistruzione, Mario è invece affidabile, solido, positivo... I poli delle nostre simpatie si invertiranno e sarà Mario, alla fin fine, a piacerci di più, anche perché lo vedremo maturare e ritagliarsi i suoi spazi.

La parte che ho preferito è la prima, che narra l'adolescenza dei protagonisti, gli ideali e l'innocenza... e il '68, uno dei pochi periodi storici che mi rammarico seriamente di non aver vissuto, perché allora la speranza era ancora consentita, non solo per Guido e Mario, ma per tutti.

Poi la realtà bussa alla porta e le prospettive si fanno più concrete, anche se non riusciamo a capire né dove voglia andare a parare De Carlo, né dove siano diretti i suoi protagonisti. Non importa. Continuiamo ugualmente a seguirli nel loro percorso di crescita, di contrasti, negli equilibri della loro amicizia, affascinati e combattuti, per affetto e per curiosità, in giro per il mondo e attraverso relazioni e avvenimenti.

Come accade, di solito, non in un libro, ma nella vita.

Penso sia questo il senso del romanzo (e dell'opera di De Carlo in generale): descrivere in modo onesto, cogliere, rappresentare, costruendo uno spaccato, più che una trama in senso classico. Con dei personaggi che siano veri e che possano andare avanti anche senza di noi.

L'unico dubbio che ci sovviene, peraltro, nelle ultime pagine è che Guido ci sia apparso così speciale, così un “ladro di fuoco”, solo perché lo abbiamo visto attraverso gli occhi di Mario...

3 commenti:

  1. Essere costretti a rimpiangere il passato, il '68, "perchè almeno la speranza era consentita". Tristissimo ma, purtroppo, assolutamente vero. Sono comunque dell'idea che dobbiamo tenere duro, contro tutto e contro tutti, contro ingiustizie, disuguaglianze, privilegi e raccomandazioni di ogni sorta e dappertutto. E' vero, la meritocrazia è morta, o peggio ancora, forse in Italia non c'è mai stata, ma io tengo sempre dentro di me l'insegnamento dell'indimenticabile Enzo Biagi: "i bravi si raccomandano da soli". E allora manteniamo acceso il lumicino della speranza, perchè anche se per noi la strada è tutta in salita, alla fine la meta la raggiungeremo ugualmente, e la soddisfazione sarà così intensa che ci ripagherà di tutti i sacrifici.

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  2. Grazie, il tuo commento è molto bello... Anche se, il mio Pater (che nel '68 era all'Università) dopo averlo letto (e aver letto il mio post) mi ha fatto una capoccia tanta (con minuziosi riferimenti storico- economico-politico-culturali) sostenendo che la faccenda non è cambiata poi così sensibilmente da allora, e che la situazione non era poetica come può parere adesso... Non lo so. Io non c'ero. Ma a me era piaciuto tanto, in gioventù, il saggio su Jacopo Fo e Sergio Parini sull'argomento: "'68. C'era una volta la rivoluzione"... E anche l'aria che si respirava in questo romanzo di De Carlo... Va mu. Bau!

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  3. DI Jacopo Fo e Sergio Parini!!! Error!!

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