GLI
UCCELLI
di Daphne du Maurier
Un
raccontino brevissimo, questo, a prescindere dal numero delle pagine,
e reso ancora più essenziale dallo stile dell'autrice: asciutto,
repentino, fluido... Che procede con una calma solo apparente,
fulminando il lettore. Uno stile che pure è quieto, poetico, ricco,
misurato, che con poche pennellate crea non solo un paesaggio, ma
anche un'atmosfera, e un protagonista, Nat Hocken, che ci suscita
simpatia ancor prima di aprir bocca... Perché la Du Maurier è in
gamba e ci fa sentire il gusto del racconto, l'arte di costruire una
storia, ma senza dimenticare che l'elemento portante è dato dalla
trama, e da quella non si scappa.
In
paese il numero degli uccelli aumenta, sono sempre di più, e già
questo è sufficiente a creare tensione, ad inquietare... Ma non
basta: perché sono irrequieti e cominciano a causare intasamenti, a
destare interrogativi. E a volte attaccano l'uomo...
Da
qui è stato tratto l'omonimo film di Hitchcock, che però se ne
discosta, aggiungendo e sottraendo secondo il gusto del regista, e
lasciando, dell'originale, pressoché solo l'idea di base... Un'idea,
che, peraltro, è geniale, capace di smuovere qualcosa di nascosto
nel lettore, di sopito, di ignoto, che fa leva su una sorta di paura
ancestrale di grande effetto che non gli permetterà più di guardare
i gabbiani (e il loro rostro) con la stessa distratta tranquillità.
Naturalmente
non si precipita subito nel nucleo dell'azione: noi sappiamo che cosa
succederà, lo presentiamo, ma dobbiamo arrivarci. Anche se iniziamo
ad agitarci ben prima che le cose trascendano: la suspense è
preparata con arte e noi ce la gustiamo riga per riga.
Angosciandoci.
Non
dobbiamo nemmeno aspettare troppo, non ci è richiesto di avere
pazienza: i tempi sono perfetti, incalzanti, e ci piacciono così.
Il
racconto è moderno, attuale, e non importa se oramai ha qualche
decennio sulla schiena, perché proprio non si sente.
Superbo.
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