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giovedì 15 maggio 2014

Senza respiro


LA MASSERIA DELLE ALLODOLE
di Antonia Arslan

 
Romanzo intensissimo sul genocidio degli armeni, parzialmente autobiografico, che pure, in mezzo a tante sofferenze e crudeltà, riesce ad essere lirico, facendo così risaltare ancora di più, per contrasto, le atrocità cui andremo incontro.

All'inizio lo stile dell'autrice potrà sembrarci lento, ostico, troppo descrittivo, ma andando avanti quest'impressione verrà fugata, ed anzi avremo bisogno di ogni parola per scandire la tragica successione degli eventi. E per riuscire ad accettarli. Poco ci importerà che a livello meramente letterario il romanzo non sia esente da difetti (ma i pregi sono assai maggiori): sarà la vicenda storico-umana a colpirci, a travolgerci, offrendoci un punto di vista inedito su un argomento spinoso e imbrattato di sangue, quanto ingiustamente misconosciuto.

Siamo nel 1914, in Anatolia. Qui incontriamo gli Arslanian, famiglia benestante, colta, da cui ci sentiamo accogliere con calore, avvertendo la forza dei legami familiari. Li rivediamo con gli occhi dell'autrice, attraverso la memoria di narrazioni familiari e ricordi filtrati, dal sapore intimo e dolce, carico di rimpianto. Impariamo a conoscere i protagonisti, ne apprezziamo la personalità, con pregi e difetti. Poi... Poi arriva il maggio 1915, e comincia l'orrore.

Comprendiamo tutte le risonanze del titolo, così poetico, così bello, che fino a poco prima ci faceva pensare solo al luogo in cui avremmo ricevuto i nostri parenti attesi dall'Italia (che però non arriveranno mai), ma di cui adesso apprendiamo l'eco mostruosa e terribile. E' qui, infatti, nella Masseria delle Allodole, che, a seguito di una convocazione di tutti gli uomini in prefettura, il capofamiglia Sempad, subodorando il pericolo, decide sia preferibile stabilirsi per precauzione, ed è qui che lo raggiungono la moglie e la famiglia. Purtroppo un gruppo di soldati se ne accorge e inizia il massacro: tutti i maschi vengono trucidati, inclusi i bambini. A salvarsi solo il piccolo Nubar poiché, casualmente, è vestito da femmina.

Si resta senza respiro, con gli occhi dilatati, ma la parte peggiore deve ancora cominciare. Non è insistita, non è esasperata, il più viene lasciato alla nostra immaginazione, ma quel che c'è è comunque fin troppo, ci sferza, ci frusta, e basta a scuoterci, a farci arrabbiare, soffrire.

Ma a volte anche a commuoverci.

Romanzo stupendo e significativo.

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