LA
MASSERIA DELLE ALLODOLE
di Antonia Arslan
Romanzo
intensissimo sul genocidio degli armeni, parzialmente autobiografico,
che pure, in mezzo a tante sofferenze e crudeltà, riesce ad essere
lirico, facendo così risaltare ancora di più, per contrasto, le
atrocità cui andremo incontro.
All'inizio
lo stile dell'autrice potrà sembrarci lento, ostico, troppo
descrittivo, ma andando avanti quest'impressione verrà fugata, ed
anzi avremo bisogno di ogni parola per scandire la tragica
successione degli eventi. E per riuscire ad accettarli. Poco ci
importerà che a livello meramente letterario il romanzo non sia
esente da difetti (ma i pregi sono assai maggiori): sarà la vicenda
storico-umana a colpirci, a travolgerci, offrendoci un punto di vista
inedito su un argomento spinoso e imbrattato di sangue, quanto
ingiustamente misconosciuto.
Siamo
nel 1914, in Anatolia. Qui incontriamo gli Arslanian, famiglia
benestante, colta, da cui ci sentiamo accogliere con calore,
avvertendo la forza dei legami familiari. Li rivediamo con gli occhi
dell'autrice, attraverso la memoria di narrazioni familiari e ricordi
filtrati, dal sapore intimo e dolce, carico di rimpianto. Impariamo a
conoscere i protagonisti, ne apprezziamo la personalità, con pregi e
difetti. Poi... Poi arriva il maggio 1915, e comincia l'orrore.
Comprendiamo
tutte le risonanze del titolo, così poetico, così bello, che fino a
poco prima ci faceva pensare solo al luogo in cui avremmo ricevuto i
nostri parenti attesi dall'Italia (che però non arriveranno mai), ma
di cui adesso apprendiamo l'eco mostruosa e terribile. E' qui,
infatti, nella Masseria delle Allodole, che, a seguito di una
convocazione di tutti gli uomini in prefettura, il capofamiglia
Sempad, subodorando il pericolo, decide sia preferibile stabilirsi
per precauzione, ed è qui che lo raggiungono la moglie e la
famiglia. Purtroppo un gruppo di soldati se ne accorge e inizia il
massacro: tutti i maschi vengono trucidati, inclusi i bambini. A
salvarsi solo il piccolo Nubar poiché, casualmente, è vestito da
femmina.
Si
resta senza respiro, con gli occhi dilatati, ma la parte peggiore
deve ancora cominciare. Non è insistita, non è esasperata, il più
viene lasciato alla nostra immaginazione, ma quel che c'è è
comunque fin troppo, ci sferza, ci frusta, e basta a scuoterci, a
farci arrabbiare, soffrire.
Ma
a volte anche a commuoverci.
Romanzo
stupendo e significativo.
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