L'ESTATE
DEI MORTI VIVENTI
di John Ajvide Lindqvist
Ma
non i soliti zombie assetati di sangue... Piuttosto persone che si
risvegliano senza personalità, che fanno da specchio ai vivi e che
come tali ne rivelano le bassezze, le debolezze, le fragilità o
alimentano la sofferenza del ricordo... Un'idea geniale ed
innovativa, sviluppata con sfumature interessanti, che dell'horror ha
solo uno dei suoi classici protagonisti, peraltro reinterpretato, e
qualche eco lontana... Un melodramma, piuttosto, una storia
introspettiva di umanità dolente, una riflessione profonda che
sfiora tante cose: la morte, l'amore, la religione.
Chi
cerca l'horror, quindi, rimarrà deluso. Chi brama della buona
letteratura, no. Anche se “L'estate dei morti viventi” non ha la
stessa potenza romantica e disperata di “Lasciami entrare”,
rivelando una realtà più ordinaria, personaggi più comuni, meno
consumati dalla solitudine di vivere, sebbene ugualmente strazianti.
Del resto qui non siamo al cospetto di un dramma privato che si
ripercuote all'esterno, siamo dinnanzi ad un vero e proprio fenomeno
di massa che coinvolge l'intera Stoccolma. Fa caldo quest'estate, un
caldo anomalo, e gli apparecchi elettrici sembrano impazzire,
rifiutando di spegnersi... Troppa energia in circolazione, e forse è
per questo che i morti si destano... E, quando possono, tornano a
casa...
La
violenza è più psicologica che fisica, la situazione è difficile
da affrontare, e noi vediamo diversi personaggi, le cui storie si
intrecciano, cimentarsi nell'impresa. Se devo essere onesta, al di là
della solidarietà umana, nessuno di essi mi ha colpito
particolarmente. Non c'è nessun personaggio che sia insignificante o
che consideri piatto, ma nemmeno qualcuno che mi sia rimasto nel
cuore. Eppure sono ancora tutti lì, in qualche modo frammenti
pulsanti di me.
La
vicenda è affascinante e conquista facilmente il lettore perché è
originale, fuori standard, delicatissima e ricca di sensibilità.
Percorsa da un'atmosfera opprimente, ma al contempo consolatoria, da
impennate metafisiche che si stemperano nel quotidiano e da
suggestioni oniriche.
Non
capisco il paragone insistito, ancora sulla copertina del libro, con
Stephen King. I due autori hanno poco da spartire: per tematiche,
approccio, sentimenti e stile. Lindqvist è più lento, più pacato,
ma inesorabile. Sembra la goccia che corrode la pietra. Eppure i
riverberi che ti crea dentro sono indimenticabili, lontani
dall'intrattenimento. Vanno assorbiti a poco a poco, con calma, o si
rischia di rimanerne scottati. Ma dopo che si sono colti, sono per
sempre e creano un turbamento silenzioso, impalpabile. Impossibile da
mettere a tacere.
C'è
tanta tristezza, in questo romanzo lavato di pianto, tanta
malinconia.
Ma
anche un'incommensurabile bellezza, nonostante qualche sporadico calo
di tensione.
Da
scoprire.
Nessun commento:
Posta un commento