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giovedì 1 maggio 2014

Lo stile superbo di zio Stephen


CUORI IN ATLANTIDE
di Stephen King


Cinque racconti che si saldano l'uno nell'altro, o un romanzo a racconti, o un romanzo di formazione dall'impianto perfetto in cui le unità di tempo e di luogo cambiano e cambia la prospettiva, ma i personaggi ritornano, ruotando attorno alla guerra del Vietnam e al primo episodio, quello in cui compaiono tutti ancora ragazzini, “Uomini bassi in soprabito giallo”, che ovviamente è il mio preferito. Sia perché è fortemente connesso con la saga de “La Torre Nera”, sia perché narra del periodo a cavallo tra l'infanzia e l'adolescenza di cui King è maestro. E, come rileva uno dei suoi personaggi, c'è magia ai margini di questa incantevole storia. E anche dei protagonisti stupendi: Bobby Garfield, del quale seguiamo il punto di vista, ma anche Carol Gerber, la sua migliore amica, e Ted Brautingan, un uomo in pericolo, pieno di segreti, di risorse e di fascino. Curiosità: è a questo racconto che si è ispirato il brutto film del 2001 con Anthony Hopkins, intitolato “Cuori in Atlantide”, orribilmente banalizzato e impoverito poiché i riferimenti all'eptalogia di Roland sono stati sostituiti con stanche teorie complottistiche che a mala pena ricordo.

Anche il secondo episodio, quello che dà veramente il titolo al libro, è assai riuscito: ci spostiamo all'Università del Maine, a fine anni sessanta, e ritroviamo Carol in veste di contestatrice. Siamo più grandi, quindi, ma sempre pieni di sogni, di speranze, sebbene... Dai sogni si sia destinati a svegliarsi.

Di nuovo gli elementi più importanti, a parte lo stile superbo di zio Stephen, sono i personaggi, inclusi quelli secondari, e l'atmosfera. Nostalgica, e soffusa di speranza, idealismo, e dolcezza. Che ha il potere di farti ritrovare la gioventù, con la sua freschezza e i suoi fardelli.

Seguono altri tre racconti più brevi: uno, insolito e geniale, su Willie, che in “Uomini bassi” si presenta come personaggio negativo mentre qui, reduce del Vietnam, ti spezza il cuore (Carol direbbe che i cuori si piegano, ma non si spezzano...); uno su Sully-John, il migliore amico di Bobby, anch'egli ex soldato, dal sapore amaro; e l'ultimo, di mera chiusura e senza grande importanza, salvo che per i sentimentali (tra cui, nella fattispecie, mi annovero anche io), in cui ricompare Bobby (non da solo) con quarant'anni in più sul groppone.

Davvero un volume strepitoso, a mio parere uno dei più notevoli dell'opera del Maestro. E che, come sempre per quanto riguarda il presunto Re dell'horror, con l'horror c'entra poco o niente. C'entra con il crescere, invece, col diventare adulti, affrontare le difficoltà e disilludersi, perdendo l'innocenza. Drammatico, introspettivo, pieno di umanità e di poesia. Magnifico.

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