CUORI
IN ATLANTIDE
di Stephen King
Cinque
racconti che si saldano l'uno nell'altro, o un romanzo a racconti, o
un romanzo di formazione dall'impianto perfetto in cui le unità di
tempo e di luogo cambiano e cambia la prospettiva, ma i personaggi
ritornano, ruotando attorno alla guerra del Vietnam e al primo
episodio, quello in cui compaiono tutti ancora ragazzini, “Uomini
bassi in soprabito giallo”, che ovviamente è il mio preferito. Sia
perché è fortemente connesso con la saga de “La Torre Nera”,
sia perché narra del periodo a cavallo tra l'infanzia e
l'adolescenza di cui King è maestro. E, come rileva uno dei suoi
personaggi, c'è magia ai margini di questa incantevole storia. E
anche dei protagonisti stupendi: Bobby Garfield, del quale seguiamo
il punto di vista, ma anche Carol Gerber, la sua migliore amica, e
Ted Brautingan, un uomo in pericolo, pieno di segreti, di risorse e
di fascino. Curiosità: è a questo racconto che si è ispirato il
brutto film del 2001 con Anthony Hopkins, intitolato “Cuori in
Atlantide”, orribilmente banalizzato e impoverito poiché i
riferimenti all'eptalogia di Roland sono stati sostituiti con stanche
teorie complottistiche che a mala pena ricordo.
Anche
il secondo episodio, quello che dà veramente il titolo al libro, è
assai riuscito: ci spostiamo all'Università del Maine, a fine anni
sessanta, e ritroviamo Carol in veste di contestatrice. Siamo più
grandi, quindi, ma sempre pieni di sogni, di speranze, sebbene...
Dai sogni si sia destinati a svegliarsi.
Di
nuovo gli elementi più importanti, a parte lo stile superbo di zio
Stephen, sono i personaggi, inclusi quelli secondari, e l'atmosfera.
Nostalgica, e soffusa di speranza, idealismo, e dolcezza. Che ha il
potere di farti ritrovare la gioventù, con la sua freschezza e i
suoi fardelli.
Seguono
altri tre racconti più brevi: uno, insolito e geniale, su Willie,
che in “Uomini bassi” si presenta come personaggio negativo
mentre qui, reduce del Vietnam, ti spezza il cuore (Carol direbbe che
i cuori si piegano, ma non si spezzano...); uno su Sully-John, il
migliore amico di Bobby, anch'egli ex soldato, dal sapore amaro; e
l'ultimo, di mera chiusura e senza grande importanza, salvo che per i
sentimentali (tra cui, nella fattispecie, mi annovero anche io), in
cui ricompare Bobby (non da solo) con quarant'anni in più sul
groppone.
Davvero
un volume strepitoso, a mio parere uno dei più notevoli dell'opera
del Maestro. E che, come sempre per quanto riguarda il presunto Re
dell'horror, con l'horror c'entra poco o niente. C'entra con il
crescere, invece, col diventare adulti, affrontare le difficoltà e
disilludersi, perdendo l'innocenza. Drammatico, introspettivo, pieno
di umanità e di poesia. Magnifico.
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