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venerdì 31 gennaio 2014

Pietra miliare

LA TRILOGIA DI BATMAN di Christopher Nolan
(Batman Begins; Il Cavaliere Oscuro; Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno)


Atmosfere dark alla Frank Miller, trame adulte e cupe, dense di risvolti e significati pregnanti... Poco importa che si faccia riferimento ad un eroe in calzamaglia (peraltro uno dei più sfaccettati e interessanti del panorama fumettistico), non siamo di fronte ad un divertissement in costume a base di azione, adrenalina ed effetti speciali condito con battute sagaci... Ci sono anche quelli, certo, ma questa è in primis un'opera matura e intelligente, immortale, che lascia una traccia nel cuore e nel cervello degli spettatori anche dopo il the end... Una saga che insegna qualcosa, che fa pensare, che va infinitamente al di là del mero intrattenimento... Che commuove, che esalta, che strazia... Che si evolve...
Da icona pop, Batman diviene un uomo, con una psicologia divisa fra due identità, contraddittoria e dolorosa, che lo porterà a terribili rinunce... E diviene simbolo, disposto al sacrificio e votato ad esso (in particolare ne “Il Cavaliere Oscuro”, indiscusso vertice della saga)...
Una trilogia violenta, feroce, maestosamente epica, inadatta ai piccoli, e lontana anni luce, per spirito e intenti, dai due film di Tim Burton, con cui quindi evito confronti... Continui colpi di scena, discussioni sui concetti di bene e male e sull'eroismo, che vengono spesso sovvertiti, sviluppi coerenti ma sovente imprevedibili, con una morale di fondo, stratificata e in perenne mutamento, memorabile, struggente e romantica... Sublime.
Si tratta di un Reboot in cui le origini del personaggio vengono ridefinite e approfondite, a partire dalle motivazioni che inducono Bruce a farsi paladino della giustizia, indagando però anche il peso e le responsabilità connesse a tale scelta e che costringono Batman/Bruce, quando è necessario, a mettersi da parte come uomo e come simbolo, in nome del bene comune. Nel corso delle tre pellicole il protagonista cresce e diventa sempre più grande, soprattutto a livello morale.
Regia eccellente, dunque, trama formidabile, ma anche il cast è ottimo (nonostante Katie Holmes, in “Batman Begins”, pur brava, sia un po' improbabile come Rachel Dawes, se non altro perché sembra la figlia di Bruce... Nonostante Maggie Gyllenhaall, sostituta della Holmes, magnifica interprete, sia però davvero bruttarella), con un Christian Bale eccezionale nella parte di Batman, uno splendido e inquietantissimo Cillian Murphy nei panni del dottor Crane/Spaventapasseri, e gli strepitosi Morgan Freeman, Aaron Eckhart e Michael Caine... Benché su tutti troneggi indiscusso Heath Ledger che ne “Il Cavaliere Oscuro” riesce a dar vita, letteralmente, ad un Joker originalissimo e conturbante, che ruba la scena al protagonista ad ogni piè sospinto 8il quale “si salva” in corner nelle ultime scene)... Buona prova anche per Liam Neeson, Gary Oldman, Tim Wilkinson, Anne Hathaway e Willem Defoe...
A voler cercare il pelo nell'uovo, in “Batman Begins” la partenza è lentina, anche se poi la pellicola ingrana, mentre ne “Il Ritorno” c'è qualche (volatile) momento di stanca, con un cattivo, Bane, un po' troppo “caricato”, sia pure solo in rapporto al magnifico equilibrio di tutti gli altri personaggi...
“Il Cavaliere Oscuro”, però, è perfetto in ogni suo frammento, dalle tematiche affrontate, agli attori, alla realizzazione tecnica...
Pietra miliare.

P.S.
Questo post è un omaggio al Mio Perfido Marito che oggi compie gli anni... Auguri, mio amore vecchio!

giovedì 30 gennaio 2014

Una donna eccezionale


LA PASSIONE DI ARTEMISIA
di Susan Vreeland
 
Siamo nel 1600, a Roma. Artemisia Gentileschi, non ancora l'affermata pittrice che troviamo tra i protagonisti della Storia dell'Arte, ma già dotata studentessa, denuncia il suo stupratore, suo maestro e amico del padre, e dovrà affrontare il relativo processo.

Un processo ingiusto e doloroso, foriero di nuove prevaricazioni e nuove ingiustizie, in cui ad essere sotto accusa sarà soprattutto lei, la vittima, trattata alla stregua di una seduttrice e di una bugiarda solo a causa del suo essere femminile.

Il risultato sarà desolante: umiliata, derisa, priva persino del sostegno del padre, il pittore Orazio Gentileschi, bollata come prostituta dalla Roma maschilista e ipocrita dell'epoca, sarà costretta a trasferirsi a Firenze e ad un matrimonio riparatore, limitante e claustrofobico, nonostante gli sprazzi di tenerezza...

Una lettura piacevole, un romanzo discreto, che procede a passi misurati e punta più sull'emozione che sull'approfondimento critico-storico, a tratti un po' retorico e di maniera, con passaggi artificiosi... Tuttavia, nel complesso, coinvolgente e appassionante.

Indubbiamente ha il pregio di porre l'accento su una donna eccezionale, il cui carattere viene ben delineato e analizzato, e di indagare sia il rapporto di lei con la pittura, che con il padre, sia di denunciare la società maschilista del tempo.

E' proprio grazie al suo talento, infatti, che Artemisia potrà raggiungere la libertà. Concretamente, in senso economico e sociale, affrancandosi dal giogo maritale, ma anche spiritualmente, usando l'arte come valvola di sfogo e per fare i conti con se stessa e con l'abuso subito. Basta osservare i soggetti delle sue opere (la più famosa “Giuditta che decapita Oloferne”): donne che assassinano gli uomini, uomini decollati... Quasi una vendetta.

Ma alla fine Artemisia, che condurrà una vita piena ed affascinante che la porterà in giro per l'Italia (persino a Genova) e le permetterà di mettersi alla prova come donna e come artista, riuscirà a trovare la forza di perdonare...

Si segnala, infine, la presenza di qualche simpatica guest star, come Galileo Galilei...

mercoledì 29 gennaio 2014

Una serie anticonvenzionale e bellissima


KEN PARKER
di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo



 
Un magnifico fumetto Western, umano, intelligente, atipico, che segue la sua strada senza fossilizzarsi nei canoni del genere e in cui il protagonista, non proprio un eroe, ma comunque un bravo ragazzo dotato di coscienza e coraggio, talvolta decide di farsi da parte per lasciare spazio ad occasionali comprimari.

Siamo nel XIX secolo, America del Nord, seguiamo Ken nelle sue variegate avventure che lo vedono sempre in viaggio, ora nei panni di un cacciatore di pelli, ora di uno Scout dell'esercito, ora di un Indiano d'adozione... Ken, infatti, non è un personaggio rigido e stereotipato, sempre uguale a se stesso, è anzi portato a cambiare e a rinnovarsi, sbagliando, talvolta, tornando sulle sue decisioni, ma facendo tesoro degli errori per evolversi e migliorare. In realtà, il nostro è fondamentalmente un uomo libero che vive senza pregiudizi e preconcetti, adattandosi alle varie situazioni (o rimanendone vittima)...

Anche le trame sono multiformi e toccano tanto l'avventura quanto la denuncia sociale, alternando toni poetici e commoventi a momenti di comicità, passando attraverso malinconia, serenità, poesia, approdando persino alla metanarrazione...

Non ci si accorge quasi di essere al cospetto di un fumetto seriale, vario com'è in tutte le sue accezioni.

Le sceneggiature sono ottime, sia in senso ampio, come storia e montaggio, sia nel dettaglio dei dialoghi, brillanti, vivaci, capaci di rendere bene la quotidianità... Eppure ci sono episodi fatti di silenzi, come “Lily e il cacciatore”, che sono eccelsi ed egualmente eloquenti, e si sposano in modo perfetto con i disegni...

Insomma, una serie anticonvenzionale e bellissima, profondamente emozionante, soprattutto per chi, come me, non è un'appassionata di Tex...

martedì 28 gennaio 2014

Subcultura televisiva


DEAD SET

(2008)


 
Un telefilm in cinque puntate, una più gustosa e crudele dell'altra. Certamente è splatter (con discreti effetti speciali ed alcune scene memorabili), e certamente ci sono gli zombie, ma a fare di questa tagliente serie un capolavoro è senz'altro la satira: ad essere presi di mira sono soprattutto il mondo televisivo e i Reality Show, in particolare il Grande Fratello.

E' proprio il set di questo programma, infatti, ad essere oggetto d'assalto dai morti viventi: la ridicola e insulsa logica dello show, dunque, l'arrivismo e l'aridità intellettuale e morale di chi vi è coinvolto, finiscono per scontrarsi con la tragedia e con la lotta per la sopravvivenza, quella vera, però, non quella sterile determinata dalle preferenze del pubblico...

I personaggi sono fantasticamente stupidi e vacui (Pippa for ever!!! Così scema da diventare irresistibile), le priorità ridicole, le ambizioni risibili, il livello culturale sottozero... Insomma, si fa a gara a chi è più cerebroleso, se i poveri mostri omicidi affamati di cervello, o gli esponenti della subcultura televisiva, che tutto sommato di materia grigia non ne hanno molta... O, in alternativa, gli zombi sono della stessa pasta dei telespettatori... Altrimenti come potrebbero rientrare nei palinsesti, trasmissioni come i reality?

Il vantaggio è che così ci si sottrae all'immedesimazione (se non per l'inevitabile solidarietà umana) e ci si limita a godersi gli smembramenti (a riguardo, niente autocensura dovuta alle fasce protette, anzi, il Gore spopola sovrano) senza tanti patemi... Be', ad essere onesti qualche personaggio normale e non troppo stereotipato c'è – Kelly, ad esempio –, ma i concorrenti-caricatura e i produttori, tristemente, spaccano assai di più e sono persino più credibili e coerenti, date anche le autentiche miserie televisive nostrane...

Se poi volessimo spingerci più in là con la trama, troveremmo anche altre parentesi da aprire, in particolare su alcuni comprimari che si distaccano un po' dalla massa e che ci regalano anche altri punti di vista, altri messaggi... Quello di fondo, comunque, è piuttosto esplicito: l'uomo è stupido e cattivo e qui ottiene quel che si merita...

Dead Set è molto british, assolutamente spassoso (fonde meravigliosamente brutalità e critica) e ha il vantaggio di concludersi in fretta, come un film, senza protrarsi per un numero enne di stagioni moltiplicate per un numero enne di episodi con le trame sempre più fruste e diluite (vedasi Lost o, per restare in tema, The Walking Dead)... Magari è un po' enfatico, un po' grottesco... ma sono difetti questi? Nooo!!! Purtroppo, però, è da evitare se non si ama lo splatter, con tutto che qui lo spargimento di viscere non è fine a se stesso...

lunedì 27 gennaio 2014

Uno dei personaggi più orridi che abbia mai incontrato


JEZABEL
di Irène Nemirovsky
Il riferimento è biblico, e, per farla breve e semplicizzando, Gezabele è una gran peccatrice che nel Vecchio Testamento ne combina di cotte e di crude. Così la vanesia e orripilante protagonista di questo libro la bellissima Gladys Eysenach, ormai un po' passatella, ma da sempre ricca e privilegiata, in oggi (Parigi, anni '30) processata in Tribunale per l'omicidio del suo giovane drudo... Solo che le cose non stanno esattamente così... Stanno pure peggio, in effetti, e lo scopriremo ripercorrendo la vita di questa fragile donnaccia, egoista e menzognera, che da sempre ha il terrore di invecchiare e fa di tutto per evitarlo...
Gladys è uno dei personaggi più orridi che abbia mai incontrato in un libro, pressoché senza riscatto! Tuttavia la vicenda è delineata con garbo e maestria, la storia è interessante, e lo stile dell'autrice davvero notevole: piano, quieto, eppure incisivo, impietoso, curatissimo, capace di descrivere minutamente l'animo malato (peraltro assurdo e macchiettistico, e forse per questo davvero credibile e oscenamente femminile) della spregevole protagonista, tale da infastidire il lettore ad ogni afflato, ad ogni ragionamento... Anche se, è vero, ogni tanto Gladys ci fa una pena immensa...
Del resto questo è l'effetto voluto dalla Nemirovsky che usa il suo talento di scrittrice per vendicarsi della madre, che forse tanto diversa da Gladys non era...
Solo che incentrare un intero romanzo esclusivamente sull'ossessione di piacere della protagonista alla fine può risultare controproducente, nel senso che dopo essersi goduti l'inizio, dopo esser stati incuriositi dagli sviluppi, dopo aver imparato a conoscere la protagonista e il mondo fatuo in cui si muove, dove aver cominciato ad odiarla entrando nel meccanismo narrativo... Ecco, ci si comincia un po' a stancare e sopravviene un senso di pesantezza, di saturazione... Certo i colpi di scena non mancano, ma sono prevedibili alla luce della psicologia di Gladys (ribadisco, magistralmente resa) e non ci sorprendono più di tanto...
Insomma, anche se non si tratta di un libro lungo (consta di nemmeno 200 pagine), anche se lo stile è scorrevole, fluido e non privo di bellezza, ecco... Sinceramente scorciarlo di un'altra cinquantina di pagine avrebbe potuto rivelarsi una scelta vincente.
Perché dopo un po' di Gladys e delle sue manie non se ne può davvero più...

domenica 26 gennaio 2014

Dimesso e amaro


DELLAMORTE DELLAMORE
di Tiziano Sclavi

 
Francesco Dellamorte per molti versi sembra Dylan Dog in forma di romanzo (almeno superficialmente, tanto che spesso viene spacciato come il suo prototipo), ma per altri non potrebbe esserne più distante: Francesco è più triste, più malinconico, decisamente più solo, cinico e nichilista, con un vago humor non solo nero, ma soprattutto dimesso e amaro. Persino l'assistente dell'eroe, quello che in teoria dovrebbe essere la spalla comica, fa pensare più al pianto che al riso: non lo spumeggiante Groucho, dalla battuta sempre pronta, ma Gnaghi, lo scavafosse che si esprime a “gna” e che reca in sé un senso di rassegnazione e sconfitta... Del resto, non siamo a Londra, ma a Buffalora, un piccolo centro in Lombardia, e Francesco, a differenza di Dylan, non è un indagatore dell'incubo, ma il guardiano del cimitero locale. Anche qui, però, accadono cose strane: i morti risorgono e hanno fame. Zombie, quindi (o Ritornanti). Ma anch'essi, più tristi che pericolosi. E, tutto sommato, di contorno.

La vera protagonista, infatti, è lei, la morte, che ossessiona Francesco, aspirante suicida, becchino, uccisore di zombie (ma anche di persone normali, così, per portarsi avanti col lavoro...)... La morte che è una minaccia e una liberazione, che è crudele e pietosa... I capitoli sono persino scanditi da una ballata intitolata a lei, alla “regina senza scettro e corona”, la stessa che, con qualche variante, verrà riproposta nel Dylan Dog numero 10, “Attraverso lo Specchio”...

Ma il nostro eroe insegue pure l'amore, nella figura di Lei, che muore (uccisa da Francesco) e ritorna più volte... Come vedova, come prostituta... E che forse è un'illusione, forse no... Ed è buffo, perché se lui di cognome fa Dellamorte, sua madre, invece, da ragazza si chiamava Dellamore...

Il romanzo, impreziosito dalle eleganti illustrazioni di Angelo Stano, mi era piaciuto, uno dei più belli di Sclavi, macabro e dannato, romantico e desolante, con sfumature lisergiche... Ma non ha un andamento lineare e ricostruire una trama non è facilissimo, specie se l'ultima lettura risale a parecchi anni fa. A poco a poco i piani si fanno sempre più confusi, e non si capisce dove finisca la morte e dove inizi la vita, che cosa sia sogno e che cosa realtà...

L'elemento che avevo apprezzato di più, comunque, era la voce fuori campo, che fa da contraltare narrativo e spesso sottolinea i momenti salienti, esasperandoli o ironizzandoci su, e in generale lo stile di Sclavi, essenziale, lapidario, un po' sornione, a metà tra una sceneggiatura e un fumetto... Il romanzo, per dire, si conclude con dei titoli di coda...

Curiosità: Francesco Dellamorte compare nel Dylan Dog speciale n. 3 “Orrore nero” e nella storia breve “Stelle cadenti”, pubblicata in appendice al volumazzo rilegato e a colori della Mondadori con la ristampa, appunto, di “Orrore nero” e poi riproposto in Superbook.

sabato 25 gennaio 2014

Sono tremendamente ingorda


TECNICHE DI LETTURA

 
Non è che proprio lo siano, delle tecniche... Diciamo piuttosto che io sono abituata così, che mi ci trovo da Dio (pur se gli umani sovente restano perplessi) e che probabilmente un po' è perché sono compulsiva, e un po' è perché sono tremendamente ingorda. Comunque...

In sostanza io ho l'abitudine di leggere più libri per volta, possibilmente nell'ordine almeno della decina (in questo momento sono a quota sedici)... Non necessariamente tutti romanzi.

Il top della bellezza è domenica pomeriggio in cui mi dedico mezz'ora ad uno, dieci minuti all'altro, quarantacinque al terzo e così via, finché la schiena non mi si spezza a furia di stare sdraiata...

Può sembrare un atteggiamento dispersivo, il mio, ma sinceramente mi sollazzo molto di più così, nutrendomi dei contrasti di epoca e genere, e dei raccordi casuali fra i vari volumi... Seguendo ispirazioni improvvise e stati d'animo altalenanti, sottoponendomi a piacevolissimi brain storming casuali...

Tanti mi chiedono, di conseguenza, come faccio a capirci qualcosa o a ricordare quello che leggo... La verità, paradossalmente, è che i libri mi rimangono assai più impressi in questo modo!

Se mi concentro solo su uno inevitabilmente lo finisco in un soffio e quindi impiego poco a dimenticarlo... Da un lato, magari, è un vantaggio anche questo, ma in linea di massima preferisco centellinare, spiluccare, passare dal dolce al salato, e quindi giù di stuzzichini per poi tornare ai biscotti...

E poi, be', a seconda di che libro finisco vengo assalita da attacchi di malinconia profonda, come se un caro amico mi salutasse per sempre... Avendo più letture in corso, invece, attenuo il senso di perdita e lo gestisco meglio.

Qualora però, per motivi vari (di norma, ahimè, la contingenza..) debba dedicarmi ad un solo volume per volta, fatico a procedere in ordine e tendo a balzare da un capitolo all'altro e poi a tornare indietro. Certo, con alcuni autori è meglio evitare (vedi Jonathan Carroll), ma altri (George Martin, ad esempio, che alterna “la soggettiva” contemporanea di più personaggi) paiono quasi chiederlo...

se invece non si tratta di romanzi, ma di dizionari, di saggi o di poesie... Be', allora il mio approccio è davvero irrinunciabile!

venerdì 24 gennaio 2014

Fa godere dall'inizio alla fine


KILL BILL

(2003)



Temo che per me resterà sempre il capolavoro di Tarantino: più de “Le Iene”, più di “Pulp Fiction”, più di “Bastardi senza gloria”! Magnifico! Sublime! Squisitamente cinico! Un film che fa godere dall'inizio alla fine (persino la centesima volta che lo riguardi) e che sempre ti porta ad una totale e catartica esaltazione!

Tutto è all'insegna della perfezione: dalla colonna sonora (variegata e incisiva, con tanto di canzoni tradizionali giapponesi) alle inquadrature (che spesso indugiano sui dettagli), dai combattimenti alle scenografie (lo scalpo sulla neve...da brividi!), dalla breve sequenza animata sul passato di O-Ren Ishii ai dialoghi (sferzanti, intensi, suggestivi...), dai personaggi alla via del Bushi... Non ultima la trama, perché la vendetta è davvero un sempreverde e qui viene gustata fredda, e talvolta addirittura gelata...

La trama la sanno tutti, ma qui la rievoco per il puro piacere di autoraccontarmela: la Sposa, visibilmente incinta, viene pestata a sangue e spedita in coma da alcune vecchie conoscenze durante le prove del suo matrimonio... Tutti quelli che le sono cari vengono ammazzati. Dopo quattro anni si sveglia in ospedale con una placca di metallo in testa e la pancia vuota, mentre uno sconosciuto si appresta a violentarla...

A quel punto, la nostra eroina, che in realtà è una pericolosissima killer, decide di riprendersi la sua vita...

Il film è suddiviso in capitoli, e, tra un flashback e l'altro, segue la protagonista (una splendida Uma Thurman) mentre realizza la sua vendetta, seguendo una lista accurata, fino ad arrivare a Bill, ex capo, ex amante, e mandante del suo dolore...

La pellicola è veramente lunga, in tutto circa quattro ore (anche se non si sentono assolutamente), tanto che è stata distinta in due “volumi”: il primo, più adrenalinico e sanguinolento, e il secondo, più lirico e introspettivo, che alla fine, in mezzo a tanto sangue, oltre a profonde e nerdissime considerazioni su Superman e gli altri Supereroi, ci regala finalmente un raggio di sole...

La perfezione tecnica ed estetica e il divertimento sono senza pari, ma anche i combattimenti (con katana, col coltello o anche a mani nude) sono un vero spettacolo! Senza tante manfrine, senza troppi effetti speciali, offrono coreografie magnifiche, con qualche formidabile colpo-chicca, come quello ai danni dello stupendo unico occhio della deliziosa Elle Driver... I personaggi, poi, sono uno più strabiliante e ben caratterizzato dell'altro, specie le donne, specie O-Ren (Lucy Liu) ed Elle (Daryl Hannah), specie Bill (David Carradine)... Oltre a Beatrix, claro! E che stuzzicanti punte di sadismo (“Tu no, Sophie!”), che tripudio di sangue e che dialoghi velenosi e saggi, che meravigliose sequenze drammatiche, e quante allusioni, citazioni, omaggi (dalla tuta di Bruce Lee ai cartelloni pubblicitari...), quanto si esagera, ma con quale eleganza! Misericordia, godo solo al pensiero!

giovedì 23 gennaio 2014

Il mio scrittore preferito


THE GHOST IN LOVE – IL FANTASMA CHE SI INNAMORO'

di Jonathan Carroll

 
Finalmente! Dopo un'attesa lunghissima e straziante, torna il mio scrittore preferito fra quelli ancora viventi! Non per lo stile, non per i personaggi, ma... per le trame!

Carroll è incredibile, e lo dimostra anche qui, nonostante il titolo sia orribile e sviante... Il fantasma c'è, ed è davvero innamorato, ma... chi sono i fantasmi? Carroll reinterpreta la realtà (e l'irrealtà) in modo anticonvenzionale e bizzarro, riuscendo a darle coerenza e portandoci a riflettere sulla natura umana e sui temi fondamentali su cui l'uomo si è da sempre interrogato... In questo caso, sul nostro destino individuale... E sulla possibilità di sottrarci ad esso.

Dunque, chi sono i fantasmi? Una summa di avanzi individuali che, dopo la morte di ciascuno, restano sulla terra per sistemare le nostre faccende in sospeso... Ma non è il fantasma il personaggio principale, il principale è Ben Gould, che muore senza morire, sovvertendo i piani designati per lui... Ma attenzione, perché nulla è come crediamo: i cani, i corvi, l'angelo della morte, i verz...

E poi c'è quel barbone, Steward Parrish, che è malvagio e fa paura... Anche perché sa di vita e di morte ad un tempo, come rileva Pilot, il cane di Ben, dopo un'annusatina...

Non è una fiaba alla Neil Gaiman, questa, ha il sapore della concretezza, del mondo reale, però ci sono in gioco forze che non immaginavamo, e che si combinano a nostra insaputa.

Ad ogni pagina scopriamo qualcosa che ci confonde e ci porta ad altre domande, e non riusciamo a smettere di leggere perché la faccenda continua ad ingarbugliarsi... Ma le risposte ci vengono date, e anche se portano ad altri interrogativi, non possiamo lamentarci... Alla fine, infatti, non rimaniamo delusi: ci sembra di aver sognato, ma anche di essere stati psicanalizzati, ci siamo divertiti e spaventati, abbiamo corso a perdifiato e ci siamo immersi in noi stessi, nei nostri ricordi, nel nostro passato...

Invero, ogni tanto c'è qualche ingenuità, qualche dialogo non riuscitissimo (specie verso la conclusione, quando Danielle apostrofa Stanley, l'angelo della morte), ma, dato il tema trattato, nel complesso Carroll se la cava benone e quindi ringrazio la sua nuova casa editrice “La Corte Editore”, pregandola di non lasciarci a bocca asciutta troppo a lungo... Da quel che mi risulta, non tutto di Carroll è già arrivato in Italia...

mercoledì 22 gennaio 2014

Un giallo non giallo


E’ STATO IL FIGLIO
di Roberto Alajmo

 
La trama è geniale, con tocchi di squisita e verace surrealtà, e magistrale è la capacità dell’autore di rendere autentico questo piccolo quadretto familiare, con le sue dinamiche, le sue logiche interne e disfunzionali, le sue miserie, prevaricazioni e affetti, sia pur discutibili e (tirando le somme) esteriori… Da un lato pensi che questa sia davvero una famiglia di plebei cerebrolesi, che in fin dei conti finiscono con l’ottenere (ad eccezione di Serenella) esattamente ciò che gli spetta! Dall’altro, ti fanno tenerezza e non puoi che… be’, se non affezionatici, se non scusarli, almeno soffrire per loro, così semplici, così bassi, così miopi... Alla fine quel che conta non è l’amore, non è la famiglia, ma solo sopravvivere! E, ove possibile, darsi anche un po’ di arie!

Si capisce subito che c’è un mistero, dietro ad una realtà così trasparente e lineare, urlata persino nel titolo del romanzo, qualcosa di taciuto, di sottinteso, che a poco a poco si chiarisce… Qualcosa che sconcerta e che ad un tempo è assolutamente logico, perfettamente in sintonia con le regole spietate ed insensate (per noi) che imperano in questo bizzarro ritaglio di mondo in quel di Palermo.

La famiglia Ciraulo, infatti, rasenta l’indigenza, ciò nondimeno possiede un’auto di lusso, una Volvo nera, che dà lustro al quartiere… Ed è proprio l’auto a trasformare la quotidianità in tragedia, perché quando il figlio Tancredi la riga accidentalmente, il padre Nicola si infuria, c’è una colluttazione, e Nicola muore con tre colpi di pistola al petto. Il colpevole è Tancredi, poco importa che lui non confessi: tutta la famiglia era presente e lo addita come responsabile. Tancredi finisce in prigione, si ostina a non confessare…

Un giallo non giallo, in cui i personaggi brillano di luce sfavillante nella loro mediocrità: l’odioso ed egoista padre padrone, il primogenito omicida inutile e senza ambizioni, il povero nonno Fonzio, la pragmatica Nonna Rosa…

Una trama semplice, alla fin fine, ma aberrante, sconvolgente, impreziosita da dialoghi genuini e speziati e da un montaggio sublime.

Ho visto anche il film, con un notevole Toni Servillo: la struttura è diversa, l’impalcatura cambia, e in parte anche il futuro dei Ciraulo… Ho apprezzato molto entrambi, romanzo e pellicola, in egual misura, ma la carta, si sa, per me ha un sapore più intenso.

martedì 21 gennaio 2014

Risate a non finire


CUORE DI MENTA
di Wataru Yoshizumi

 
Quando me lo avevano proposto avevo storto il naso: io non sono una patita di Shojo Manga, li compro solo per rincorrere cartoni animati della mia infanzia, e spesso col mero spirito di ricordare momenti perduti... Non amo le melensaggini, i drammoni alla “Kiss me Licia” mi snervano, e gli occhioni dolci e lacrimosi di per sé non sono sufficienti ad irretirmi. Insomma perché avrei dovuto acquistare ‘sta roba? Eppure la persona davanti a me (un masculo, tra l’altro), pur conoscendo i miei gusti, aveva insistito promettendomi risate a non finire. Ebbene, aveva ragione!

Anni dopo ho consigliato “Cuore di Menta” al Ragno (allora quindicenne), che si era detto insultato all’idea di accostarsi ad una “scemenza da femmine” di tal fatta. Anche lui è stato costretto a ricredersi.

Un fumettino in dodici numeri piccolini piccolini (poi ristampato in, mi pare, quattro tankobook), con disegni carinissimi, e soprattutto delle situazioni da schiattare dal ridere! E, si noti, la trama non mi ispirava per niente, troppo assurda, troppo sciocca, quindi il merito, è proprio della realizzazione!

Si parla di due gemelli adolescenti legatissimi e pressoché identici, salvo per il fatto che una, Maria, è una femmina e l’altro, Noel, un maschio...

A causa di una cotta, Maria si trasferisce in un'altra scuola all’insaputa del fratello… che però, non tollerando la separazione, decide di raggiungerla… Tuttavia i posti in dormitorio per i maschietti sono terminati, così lui dovrà fingersi una lei, con tutti gli pasticci che ne seguiranno…

E’ questa la parte adorabile del manga, quella dedicata a Noel, il vero protagonista morale di questa buffa commedia degli equivoci a sfondo sentimentale! I sentimentalismi di Maria, invece, sono puro contorno, pura noia, e non hanno niente di originale…

La trama è semplice, dunque, ma briosa, percorsa da un umorismo irresistibile e ultradivertente!

Dopo questa delizia, non ho potuto che comprare anche “Marmalade Boy” il fumetto più famoso della Yoshizumi, ma per quanto sia simpatico e grazioso, non è assolutamente all’altezza di questa piccola sorpresa.

Consigliatissimo! Anche ai maschietti!

lunedì 20 gennaio 2014

Che ignara! Che ottimista!


PENDOLARI Si sta come/ d'autunno/ sugli alberi/ le foglie



DERAGLIAMENTO, LEGGE DI MURPHY, LE CARE, VECCHIE, BUONE FERROVIE DELLO STATO

 
Venerdì 17 è deragliato un Intercity tra Andora e Cervo, nella nostra disastrata Liguria ridondante di frane... Tutti additano la sfortuna, ma la verità è che non si è fatto male nessuno, perciò in teoria tutto bene. Tranne per i pendolari.

Invero, pare che questa volta Trenitalia abbia reagito in fretta dotandosi di pullman sostitutivi: la linea fino ad Albenga funziona (perché non fino ad Alassio, visto che il posto per i treni c'è e il sinistro interessa la stazione successiva, anzi successiva pure a Laigueglia? Mistero...), ad Albenga si scende e un simpatico bus color della cenere porterà i viaggiatori ad Alassio. Poi ritorno con la gente in partenza per Savona che naturalmente verrà depositata ad Albenga (c'è un bus anche per Imperia, da Albenga, ma quello non ci interessa) dove potrà aspettare gioiosamente il primo treno utile.

Ebbene, nella nefasta giornata di ieri, come di consueto la domenica, dovevo andare a pranzo dai miei, a Pietra Ligure, e quindi prendere il treno Alassio-Savona... Che ignara! Che ottimista!

Si noti che pago 424,00 Euro di abbonamento annuale (che scade il 31 gennaio, e che sicuramente nel frattempo sarà aumentato) e quindi trovo immorale servirmi di altri mezzi (senza contare la frana a Borghetto e quella tra Albenga ed Alassio...).

Comunque... Mi premuro di andare in stazione un po' prima (53 minuti) per evitare ritardi e disagi per quanto possibile. Ero a conoscenza della soluzione con i pullman ed ero abbastanza tranquilla, anche perché, mi raccontavo, domenica è già il terzo giorno dall'incidente, ormai saranno ben organizzati. Ha! Ha! Ha!

Insomma che alle 12.07 chiedo in biglietteria. L'addetta mi dice che purtroppo il pullman è appena partito (alle 12.00 esatte) e che sarà di nuovo qui entro le 13.00 circa. Bene, mi dico, la stessa ora in cui di norma prendo il treno. Tutto in regola.

Certo, il treno lo aspetto al coperto, seduta e rilassata in attesa dell'annuncio, qua devo stare sull'attenti nel piazzale antistante la stazione, mentre piove (non tanto per fortuna) e conscia che non ci sarà alcuna comunicazione... Va mu, mi dico, che sarà mai?, mi attacco al telefono e mi intrattengo in un'ora di amene conversazioni. Arrivano le 13.00. Arriva un sano principio di appetito. Il pullman no.

Aspetto le 13.10... Niente.

13.20. Niente.

Ma dove cavolo è sto pullman?

Provo a chiedere in biglietteria. La donna di prima è scomparsa, c'è un uomo (con la divisa etc.), domando del bus. Lui dice che non sa nulla. Io gli faccio presente che la sua collega mi aveva parlato delle 13.00. Lui risponde che il pullman non ha orari, che va da Alassio ad Albenga e da Albenga ad Alassio, punto. Io ribatto che ci vogliono venti minuti, massimo mezz'ora per fare quel tratto di strada... Che io sono lì da oltre un'ora... Che a questo punto i casi sono due: o il pullman è esploso o l'autista è andato a pranzo, e sarebbe interessante sapere quando riprenderà il servizio, visto che anche io sto morendo di fame, e piuttosto torno a casa e mangio dal Mio Perfido Marito, dando pacco ai miei (che hanno preparato gli gnocchi e lo strudel, sob...).

L'addetto alla biglietteria ripete che lui non sa niente.

Gli chiedo se allora può indicarmi quali orari ha seguito il bus nella giornata di ieri, tanto per avere un'idea.

Lui ribadisce che non sa niente (mi aspetto che aggiunga che non c'era e se c'era dormiva, ma non lo fa...). Io insisto: vorrei sapere allora CHI sa qualcosa, e se per caso lui non può sentirsi con quelli di Albenga, dato che il pullman, se non si trova qui, o è là o in viaggio. Naturalmente la risposta è che lui non lo sa, che loro non sanno niente, e che neanche quelli di Albenga sanno niente, e che, per motivi che restano inesplicati, lui non può telefonare a nessuno. Fantastico. Chissà se il mister sa almeno come si chiama, se conosce il suo proprio nome. Il dubbio mi viene.

Intanto arrivano le 13.25, io ho davvero famina, non scorgo altri passeggeri (salvo una coppia di adolescenti) e decido di tornare a casa.

Lemme lemme, sconsolata sconsolata, trotterello per una decina di minuti, avvisando nel frattempo il Ragno, per il pacco alla famiglia, e poi il Mio Perfido Marito che prepari pappa e coccole extra. E chi ti becco a metà strada, che mi sfreccia accanto? Il cavolo di pullman.

Resisto alla tentazione di maledire l'uomo della Stazione.

Invece, maledico me stessa. È da i tempi dell'Università che viaggio col treno, dovrei sapere ormai che cosa aspettarmi.

...Rimembro quel pomeriggio in cui sono stata 7 ore e 16 minuti (esatto, d'orologio) bloccata tra Varazze e Savona perché qualcuno si era suicidato. E va bene non sarà colpa di nessuno... Ma il controllore non diceva ai passeggeri che cosa era successo, continuava a ripetere che in capo a mezz'ora si sarebbe risolto tutto (per un investimento? Figurarsi, neanche riesce ad arrivare il Magistrato, in mezz'ora!), glissando sulle domande, alludendo a un disguido, e rassicurando i viaggiatori con delle false promesse. Dopo quattordici mezz'ore abbondanti il treno è ripartito. Naturalmente nel frattempo (dopo due o tre ore) erano arrivati i pullman sostitutivi. Naturalmente solo due bus per quattro treni (medio tempore arenatisi a Varazze) stracolmi di gente: io non avevo nemmeno fatto in tempo a scendere (ovviamente i primi arrivati sono stati avvisati per ultimi), che i pullman erano già pieni! Il bello è che i miei erano a Savona, quel pomeriggio, potevano venire a prendermi... Ma che senso aveva... per mezz'ora... potevo anche aspettare...!

...Rimembro quella volta che con Gian tornavamo da una intensa giornata di shopping librario a Milano: sciopero anticipato, soluzione con bus sostitutivi, già pronti: uno diretto al Albenga, l'altro per le stazioni intemedie. Noi dovevamo scendere rispettivamente a Pietra e a Loano, così abbiamo chiesto alla donna in divisa che berciava ordini a destra e sinistra su quale pullman salire. Quella ci ha malamente spediti su quello per Albenga, così abbiamo viaggiato con le professioniste dell'amore mercenario e alla fine abbiamo comunque dovuto chiamare a casa per farci raccattare...

Ci sarebbero altri aneddoti, ma riesco solo a sospirare.

Mea culpa, dunque, per ieri...

...E poi, in fondo, è andata bene così... anche perché non è detto che ad Albenga il treno ci fosse subito. Magari sarebbe partito dopo le 15.00, o chissà... E io avevo fame. Una fame nera.

Davvero, in fondo è andata bene...

Quello che mi preoccupa è che ci vorranno tre mesi per ripristinare la funzionalità della linea.

E io devo fare spesso Alassio-Pietra.

Ci sarà da divertirsi.

O da non rinnovare l'abbonamento.

domenica 19 gennaio 2014

Una morte!


L'INCUBO DELLA PARRUCCHIERA

 
Non dovrebbe esserlo, lo so. Andare dalla parrucchiera, di norma, per una donna, è sinonimo di coccolarsi. Per me significa farmi depredare del mio tempo… Sarà perché la penultima volta sono entrata alle 11 e sono uscita alle 16 (saltando il pranzo). Una morte!

Intendiamoci, ho fatto taglio, colore, meches, trattamento doppie punte, trattamento antigiallo, e in mezzo forse qualche altra amenità, sta di fatto che ad un certo punto mi si è addormentato il fondoschiena. Giesù (alla Cassidy), neanche riuscivo ad alzarmi!

La mia parrucchiera è brava, ha dei modi gentili, chiacchiera, ma non è ammorbante e se capisce che voglio godermi l’iperuranio, dopo uno o due tentativi di coinvolgermi nella conversazione con le altre clienti, abbandona e mi lascia tranquilla… Tuttavia…

Odio stare lì inchiodata per un tempo indefinito, odio dovermi togliere gli occhiali perché sono condannata al nulla, odio tenermeli perché mi danno fastidio, fatico a leggere, perché anche se provo a non ascoltare le parole della radio o delle persone presenti,queste mi si insinuano in testa e scavano tunnel… E poi si parla sempre di cose che non mi interessano (figli, viaggi, televisione, gossip…) mentre le poche volte in cui si toccano argomenti che invece mi stanno a cuore (libri, arte, cinema…) sono costretta a mordermi la lingua per non mancare di rispetto a nessuno, men che meno a quelle povere benintenzionate signore… Mi spiace, sul serio, è che odio le opinioni convenzionali, le banalità e quel clima salottiero fatto di futilità e sorrisini… Allora, vinta, annichilita come sono dal tedio esistenziale, allungo una mano e distratta sfoglio una di quelle riviste che mi vengono di volta in volta messe davanti. Mi fanno lo stesso effetto delle trasmissioni spazzatura: dopo aver sfogliato qualche pagina avverto il cervello colarmi da un’orecchia, in fuga, non vuole essere lobotomizzato dalle insulsaggini…

Ciò nondimeno negli ultimi otto anni mi sono comportata con diligenza e massimo ogni quattro mesi (lo so che sono pochi per una donna, ma per me sono tantissimi) mi sono presentata regolarmente agli appuntamenti dalla mia parrucchiera di fiducia, che devo dire, è una vera artista (in effetti quando mi ha conosciuta mi ha rifatto il look, regalandomi un taglio meraviglioso che resta sempre in ordine, anche dopo la spiaggia, o il vento, o una notte funesta… o molto gioiosa). Peccato che a maggio lei fosse in ferie e io abbia saltato il turno… poi è arrivata l’estate e il sole unito alle meches vecchie mi ha regalato un bel colore caldo e naturale… a settembre le amiche mi hanno sconsigliato di tagliarmi i capelli il lungo mi dona, secondo loro… A novembre mi facevano i complimenti per lo shatush (in realtà le mie meches alla frutta)… Ma adesso… Adesso è pressoché un anno esatto che non vado dalla mia parrucchiera: ho le quadruple punte, i capelli perennemente in faccia, e sembro scappata di casa…

Riuscirò a prendere coraggio e fissare un nuovo appuntamento?

O (come dice lei) denunceranno la mia parrucchiera per incuria?

sabato 18 gennaio 2014

Un viaggio suggestivo


IL MUSEO IMMAGINATO
 di Philippe Daverio

 
Il nostro autore, che io conoscevo solo come direttore di “Art e Dossier”, ci regala un'esperienza insolita, divertente e non troppo impegnativa, invitandoci ad entrare nella “Casa-Museo” che si diletta di immaginare.

In ogni stanza opere pittoriche, dipinti per lo più, capolavori assoluti, il cui accostamento è dettato dal gusto personale e dalla sensibilità, talvolta guidata da richiami letterari o da piccole nostalgie, o dallo spirito di contraddizione.

Daverio ci insegna, dunque, come guardare un quadro, come assaporarlo, come cambia la sua percezione a seconda del contesto in cui viene collocato, crea legami tra opere apparentemente lontane, e ogni tanto ci strizza l'occhio, con un sorriso.

Il libro procede attraverso le immagini, per stanze, di cui sovente ci viene spiegata la funzione, con tanto di piantina e rapida descrizione, comprensiva dei mobili all'interno e dell'atmosfera che ci accoglierà dentro. Si comincia con l'anticamera, con il pensatoio, e la biblioteca... si finisce col giardino.

E' un viaggio suggestivo, ammaliante, in cui si trova il tempo per fare due chiacchiere, per riflettere, per apprendere... Non c'è fretta, e il nostro anfitrione ci invita spesso alla pausa, a fermarci, per non stancarci e per permettere a tutte le meraviglie che vediamo di sedimentarsi dentro di noi, prima di continuare, anche se, come lettrice e come ospite, il desiderio è soprattutto quello di andare avanti e fare indigestione!

Daverio ci descrive i quadri (noti a tutti e meno noti) con affabilità e simpatia, ci spiega perché li ha scelti e sistemati lì, rivelandoci curiosità, legate all'opera, al pittore o al soggetto, o particolari del suo passato, insegnandoci a indugiare sui dettagli e a “sentire” le pennellate.

Scopriamo cose nuove, dunque, e rimaniamo affascinati dagli ambienti e dal nostro anfitrione, dalla sua vasta cultura, dalla sua arguzia e dalla sua capacità di sorprenderci, ci emozioniamo e ci divertiamo un mondo, finendo, rapiti, con l'immaginare anche noi il nostro museo ideale (io ci avrei messo uno sproposito di Preraffaelliti e Surrealisti, in particolare Magritte e senz'altro avrei aggiunto e tolto stanze, rispetto alle sue) e ripromettendoci di tornare quanto prima a chiedere consiglio...

Un volume appassionante da leggere, ma anche solo da sfogliare...

C'è un seguito, tra l'altro, “Il secolo lungo della modernità”, che non vedo l'ora di iniziare...

venerdì 17 gennaio 2014

I Toy Boy proprio non li digerisco...


BRIDGET JONES, UN AMORE DI RAGAZZO
di Helen Fielding

All'inizio ero un po' shockata... Bridget ha cinquant'anni, due figli, e non c'è traccia di Mark Darcy... E chi è 'sto amore di ragazzo? Forse è solo perché non sono ancora abbastanza vecchia, ma i Toy Boy proprio non li digerisco... Insomma, ero delusa in partenza, ma poi... Poi ho capito che va bene così.

Il romanzo non è fuori continuity, anzi, per ritmo, risate, e coerenza, è il perfetto seguito de “Il diario di Bridget Jones” e “Che pasticcio Bridget Jones!”, in cui la protagonista, semplicemente, è cresciuta e ha dovuto affrontare prove davvero dolorose, che però lei è riuscita a superare.

Il piacere della lettura non è guastato in alcun modo da tali eventi (che comunque risalgono ad anni prima), anzi, ci si sbellica come di consueto, solo che talvolta si avverte un sostrato di dolore che emerge con discrezione e ci fa apprezzare di più tutto il resto.

L'opera, quindi, non solo non si impoverisce, ma addirittura acquisisce spessore... del resto, si sa, l'unico modo per rimanere davvero se stessi è cambiare, evolversi. Ed Helen Fielding l'ha fatto senz'altro, dimostrandosi un'autrice coraggiosa, oltre che spassosa al cubo, che ha osato “aggiornare” un personaggio che si era già dimostrato vincente sovvertendo molte delle sue caratteristiche più note e riuscendo così a conservarne intatta la freschezza! Perché in fondo in fondo, Bridget è sempre la stessa!

In realtà, a me piace molto più in età matura che da trentenne rampante: la sua imbranataggine, la sua eterna confusione mentale, la sua insicurezza cronica, mi sembrano più credibili e mi inducono spesso alla tenerezza, laddove negli scorsi romanzi, a tratti mi irritavano, sembrandomi troppo calcati. E poi ha ragione Roxter (il Toy Boy, che in effetti è un vero tesoro) quando afferma che Bridget è la ragazza più giovane che conosce, inclusa la sua nipotina di tre anni...

La trama è piuttosto prevedibile, e si capisce quasi subito dove approderà alla fine la nostra Bridget, ma anche questo è più che accettabile, e anzi, fa in un certo modo parte delle regole del gioco. A parte questo, tornano (quasi) tutti i personaggi di contorno, compreso Daniel, anche se ormai è splendidamente alla frutta...

Comunque il libro è imperdibile, non solo per chi già ha amato la nostra eroina, ma anche per tutti gli altri! Per le risate sgangherate (anche se avrei fatto volentieri a meno di tutti quei riferimenti ai rumori corporali: in certa misura, con la grazia della Fielding, ammetto che all'inizio mi sono parsi divertenti e hanno il pregio di dare un'idea di complice intimità, ma alla lunga... anche no), per i personaggi spumeggianti (Bridget, in particolare, ovvio), per la scrittura irresistibile e frizzante, per la sbilenca e squisita femminilità di Bridget...

giovedì 16 gennaio 2014

Nessuna pietà verso di lui


LA METAMORFOSI
di Franz Kafka

 
Lo so, è un racconto che conoscono tutti, il più famoso fra quelli di Kafka, con il protagonista, Gregor Samsa, che un bel mattino si risveglia trasformato in scarafaggio...

Tutti ne abbiamo discusso a scuola e, magari, ci abbiamo pure fatto un tema sopra... Il fatto è che così pensavo fino a ieri, ma poi mi sono dovuta ricredere! Un mio collega (un ragazzo intelligente, lo giuro) lo ha letto, e... non ha capito nulla! Continuava ad impuntarsi sul fatto che non è logico che uno che si sveglia in forma di blatta si preoccupi di non andare al lavoro, piuttosto che adoperarsi per consultare un medico... o un esorcista! Si lamentava per la mancanza di spiegazioni riguardo alla trasformazione e sostiene che il racconto in questione sia il prodotto di una mente malata, e che solo un altro malato possa apprezzarlo...

Io un po' malatina la sono sempre stata, è vero, però, insomma, “La Metamorfosi” è un capolavoro... E non va letto come un libro di fantascienza!

La verità è che si tratta di un'allegoria, in cui non va inteso tutto alla lettera! Gregor era già uno scarafaggio prima di assumerne le sembianze! Nel senso che era un alienato, emarginato dalla società e dalla sua stessa famiglia, che non lo vede come un congiunto, ma come il tizio istituzionalmente obbligato a mantenerla. Nessuna pietà verso di lui, nessuna empatia, nemmeno da parte della madre e della sorella.

La circostanza che Gregor sia divenuto un insetto non fa che siglare in via definitiva e irrevocabile il suo status di “diverso” (alla fine non siamo troppo lontani dagli inetti di Svevo o dal Leopold Bloom di Joyce), che però era già in essere prima... Proprio come per il suo autore. Anche Kafka si sentiva così, un rifiuto della società, un disadattato, e questo è uno dei motivi per cui ha scritto il racconto (si noti quanto sono simili i cognomi: Samsa e Kafka). Che avesse problemi con la famiglia è noto, e se non ricordo male, in particolare, era osteggiato per la sua passione di scrittore...

Io capisco che una cosa sia affrontare l'autore a scuola, in cui si è guidati da testi e insegnanti, e si chiariscono prima contesto e periodo storico, e una cosa sia pescare a caso in libreria e imbattersi in qualcosa di ignoto e strano... Però... Possibile che il volume non fosse dotato di una piccola appendice critica? Di un'introduzione?

E' un peccato aver comprato una raccolta di racconti bella come questa, e decidere, dopo il primo, di non leggerne più, solo perché non si avevano gli strumenti per comprenderlo. Perché si può rimediare! Ci si può documentare! E anche se “La Metamorfosi” è il più interessante, ricordo che anche alcuni altri mi erano piaciuti molto, per giunta assai più brevi. “La Sentenza”, ad esempio. O quello sui “figli” di Kafka.

mercoledì 15 gennaio 2014

Immagini dai colori pastello


MOONRISE KINGDOM

(2012)

 
Quanta dolcezza! Questo film è un po’ lento, ma non importa, perché ci se ne accorge a stento: prima si viene catturati dalle immagini dai colori pastello, che paiono sospese nel tempo, e dalla casa presentata nelle inquadrature iniziali, che fa pensare alla dimora di una bambola… Poi subentrano dialoghi e personaggi, assai peculiari, ed in particolare i protagonisti, due ragazzini, un po’ infanti, un po’ adolescenti, alle prese con una fuga d’amore. La loro.

Siamo negli anni ’60, in un’isoletta del New England minacciata da un imminente uragano, Suzy e Sam, entrambi problematici e poco inclini alla socializzazione, si sono conosciuti ad una recita scolastica, scambiati un mucchio di lettere bizzarre, e inevitabilmente innamorati. Lei ha una famiglia disfunzionale, con genitori (Frances McDormand e Bill Murray) poco partecipi della vita dei figli (in cui la madre, che gestisce la prole con un megafono, ha una relazione extraconiugale) e tre fratelli più piccoli da cui Suzy sembra lontana anni luce. Lui è orfano e i due coniugi che lo hanno in affidamento decidono di non occuparsene più, perché troppo difficile da gestire. Sam non è una peste, e nemmeno Suzy, sono solo due ragazzini incompresi, trascurati, introversi e un po’ fuori dal coro. Tremendamente seri e compunti, responsabili e precisi, adorabili anche per questo, vengono mossi da una logica implacabile e particolare e da intenzioni meditate e onorevoli.

Poi ci sono tutti i personaggi di contorno: dallo sceriffo (un Bruce Willis buono, stanco e stropicciato) al capo scout (un Edward Norton tenerissimo e zelante), gag adorabili (gli orecchini con i coleotteri morti sono una delizia, anche se, in generale, scout o non scout, in questa pellicola non c’è molto rispetto per gli animali), situazioni buffe e momenti mitici, ad esempio quando i compagni scout decidono di accorrere in aiuto dei due innamorati!

Succede di tutto e si sfiora la tragedia, ma, come in ogni fiaba che si rispetti, il lieto fine mette a posto ogni cosa. Destino che non avrebbe potuto compiersi qualora i protagonisti non avessero tentato la fuga e si fossero arresi alla vita grigia in cui erano imprigionati e che si stava a poco a poco disfacendo…

Il film, però, non è un mero divertissement, tratta dei rapporti fra genitori e figli, tra bambini e adulti, in modo spiritoso e anticonvenzionale. E’ lieve e profondo insieme, e riempie la tua serata di musica…

E, a proposito… Che cosa significa l’elenco dei componenti dell’orchestra quando scorrono i titoli di coda? E all’inizio, tutta la pappardella musicale? Ne ho discusso con un mio amico con la testacigna e ne ho dedotto che è una metafora sull’arte della composizione delle storie. Ma documentandomi in giro (su Mymovie) mi sono accorta di non averne colto tutte le sfumature… Quindi è lì che rimando per un approfondimento. Non sempre condivido le opinioni ivi espresse, ma questa volta sono stati proprio bravi!!!