L'OCEANO
IN FONDO AL SENTIERO
di Neil Gaiman
E'
un romanzo fiabesco, nostalgico, ricco di magia, non solo in senso
“fatato”, con personaggi interessanti (Lettie Hempstock, il
cercatore di opali...) e un bellissimo spunto di base, echi
mitologici (come spesso accade con Neil) e la dolcezza innocente
dell'infanzia... Eppure... Eppure di Gaiman, ho letto opere migliori:
più originali, più dark, più poetiche.
Si
parte bene: ci sono atmosfere incantevoli, alternate a momenti
inquietanti, una trama graziosa, istanti di puro splendore,
tuttavia... Non lo so: sono arrivata a metà in un attimo e poi ho
faticato un po' a proseguire... Faticato in senso lato, visto che
comunque ho impiegato non più di due pomeriggi a terminarlo, però,
ecco, non sono riuscita a continuare d'un fiato: mi mancava lo
stimolo, per seguitare a leggerlo dovevo intervallare con altre
letture, affrontare altre venti-trenta pagine, indi nuova pausa...
Non mi è mai capitato con Neil (salvo per quella schifezza de “Il
ragazzo dei mondi infiniti”, ma era un romanzo a quattro mani con
M. Reaves, perciò dovevano essere di costui i pezzi poco
convincenti...).
Nel
complesso “L'oceano” è scorrevole, curioso, con belle trovate, e
ho apprezzato moltissimo il fatto che non proprio tutto sia stato
spiegato... Ci sono cose che davanti ad un perché perdono parte del
loro fascino, che si banalizzano, che ingrigiscono, perciò va bene
così, anzi così è assolutamente meglio, specie considerando che
chi è avvezzo al mondo di Gaiman non farà fatica a decodificarne la
simbologia e i rimandi... Però...
Ci
sono troppi però. Però piccoli piccoli, ma tanti, che non riesco a
definire, per cui procedo a tentoni, per ipotesi.
Forse
è un libro troppo “per ragazzi”, eccessivamente semplice,
lineare, e il punto di vista è quello di un bambino di sette anni...
Ma, l'ho mai considerato un difetto? No, anzi, adoro i narratori
infanti, soprattutto se, come qui, sono genuini e immaginifici e mi
ricordano un po' me e un po' il Ragno. E poi narratore infante non
significa libro “per ragazzi”. Il libro è per adulti, in
effetti. Se fosse per picculi fornirebbe maggiori spiegazioni, non ci
sarebbe la “cornice” dell'uomo di mezz'età che ricorda il se
stesso bimbo (con le relative implicazioni a livello di rimpianto, di
ingenuità perduta, di poesia), e men che meno i riferimenti alla
sessualità del papà e di Ursula...
Magari,
allora, la colpa è della cattiva, Ursula Monkton, se vogliamo
chiamarla così. Troppo simile all'Altra Madre di “Coraline”, ma
con più connotazioni patetiche che crudeli, che alla lunga
stancano... Ma... Lo penso davvero? Non dovrebbero denotare un
maggior spessore, questi elementi? E poi è così bello il modo in
cui è arrivata...
Ecco,
forse è perchè di tanto in tanto il romanzo mi sa di già sentito.
Non mancano dettagli di pregio, ma è troppo evidente che cosa
succederà al protagonista. Non in generale, ma se si è Gaimanofili
sì... Eppure, spesso, il bello delle fiabe sta proprio in una certa
ripetizione, in un tocco di prevedibilità, e in fondo non è che il
romanzo sia scontato, anche se assomiglia davvero tanto a
“Coraline”... C'è persino il gatto, anche se con una diversa
funzione.
Dunque?
Dunque,
chissà, forse la verità è che da Neil mi aspetto sempre troppo...
E
in definitiva è questo il punto.
Mi
aspettavo di più.
Ma
il fatto è che, al di là di tutte le immense qualità di Gaiman, al
di là dei particolari entusiasmanti, la storia contenitore è
solamnete carina, non speciale.
Non
ultraterrena.
Non
imprescindibile.
Sarà
per questo che il protagonista la dimentica ogni volta che la rivive?
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