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giovedì 9 gennaio 2014

Non c'è spazio per la felicità


ECCOCI QUI
di Dorothy Parker


Dieci racconti brevi scritti e ambientati negli anni '30, ritratto impietoso e mordace dell'alta borghesia dell'epoca, delle sue illusioni, contraddizioni e soprattutto ipocrisie. Certo, per molti versi la società è cambiata da allora, ma sotto altrettanti altri, forse i più importanti, è sempre la stessa e le feroci sferzate dell'autrice sono attualissime, sottolineate, per giunta, dal suo stile secco e imperativo, che va dritto al punto, per poi spaccarlo in due.

Dieci racconti, dunque, per 166 pagine, e uno tira l'altro, e ti lascia un sapore come di sangue in bocca, splendidamente acre... C'è anche dell'ironia, sotto... Però, di quella affilata, senza troppa simpatia, fortemente incisiva.

Alla prima lettura a colpire è soprattutto la critica sociale (verso il razzismo, la superficialità, i pregiudizi, etc...), la trovata, la causticità, il divertimento a ribaltare il significato del titolo o a grattarne via la “patina dorata” mostrandoci le crepe di quanto rappresenta. Alla seconda, però, si gusta ogni sillaba... E si ammira la composizione, pennellata per pennellata, tassello per tassello, di questo mondo fatto di donne deluse o ingannate o sfruttate, o conformiste e vuote, di uomini orribili ed egoisti, o in qualche caso repressi...

Non c'è spazio per la felicità, ma non per questo si diventa tristi. Si è troppo impegnati a scrutare con occhio clinico l'analisi chirurgica e perfetta della raffinata Parker per farsi coinvolgere più di tanto a livello emotivo.

Il racconto che, in generale, viene considerato il migliore, fra questi, nonché uno dei capolavori della nostra scrittrice, è “Una bella bionda”, molto dolente, ed in effetti capace di destare maggior empatia rispetto agli altri, sprofondandoci con sapienza e acuta consapevolezza nelle spirali del vuoto esistenziale...

Ma io ho preferito “Composizione in bianco e nero”, efficacissimo, e lo stesso “Eccoci qui”, che dà il nome all'antologia, e che in fondo mi è parso il più crudele di tutti, mettendo a nudo la mediocrità di due novelli sposi e spogliandoli di ogni possibile riscatto... Idealmente fa da pendant a “Che peccato” e “Che bel quadretto”, entrambi improntati sull'inconsistenza di alcuni matrimoni, entrambi trancianti.

Racconti semplici, essenziali.

Ma solo a prima vista.

Percorsi da una vena di tragica comicità.

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