LA
VERSIONE DI BARNEY
di
Mordecai Richler
Mordace,
cinica, pervicacemente ebrea (ma di un tipo dissoluto e non
praticante).
L'autobiografia
di Barney Panofsky,
canadese scorretto, meschino, e odioso, ma troppo tapino per
risultare davvero detestabile. E' partito come un disperato, ma ha
avuto successo, una moglie psicopatica, una indisponente, una
irresistibile, ed un migliore amico da cui sarebbe stato meglio
tenersi alla larga. Per tacere del padre...
Barney
si trova in situazioni così sconclusionate ed incongrue che quasi
riescono a giustificare la grettezza della sua persona: tragicità e
comicità sono davvero le facce della stessa medaglia, e qui si vede
benissimo. Si ride (a denti stretti) e intanto si concepisce l'idea
di piantare un coltello nel collo di qualcuno. Magari in quello di
Barney stesso (ma non necessariamente).
Il
film non è malaccio, ma non ha la verve del romanzo, basato
soprattutto sulla scrittura corrosiva ed effervescente dell'autore,
che schifa tutti e non lesina su nessuno.
Nel
libro ci sono più risvolti, più dettagli, più nuance. Il finale –
notevole – è più chiaro e meglio costruito.
Però,
la versione di Barney è… la versione di che?
Della
sua vita. Ma anche di una morte, di cui è stato accusato e riguardo
alla quale si è sempre dichiarato innocente...
Lo
è?
Lo
scopriremo procedendo a flashback, balzando qua e là fra i ricordi,
e talvolta fra amarezza e rimpianto, affrontando le pieghe
dell'Alzheimer.
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